di Pasquale Hamel
Alto, magro, con un’andatura ondeggiante, l’avvocato Alfonso Gaglio è stato un protagonista della vita culturale empedoclina: la terra di Pirandello e Camilleri.
In lui vivevano due personalità. Quella dell’uomo “comune”, il padre di famiglia con il suo lavoro e i problemi della quotidianità, e quella dell’intellettuale “sognatore”, che immaginava un mondo ben diverso da quello vissuto.
Un promotore di cultura, un uomo che ci metteva la faccia ma che, anche, metteva le mani in tasca per le tante iniziative che nel paese di Pirandello, dove si sentivano tutti un po’ artisti, lui stesso provocava e realizzava.
Teatro, cinema, vernissage, presentazioni di libri, dibattiti culturali che si svolgevano, in gran parte, dentro le mura di quell’antica Torre, la Torre di Carlo V, unico reperto storico di un borgo che aveva così poca storia. Il suo impegno per fare di Porto Empedocle una piccola Atene era rivolto soprattutto ai giovani, ai quali dedicava molta attenzione.
Era ammirevole la sua capacità d’ascolto. Lo testimonio personalmente per essere stato fra quelli che lo seguivano perché consideravano asfittica la dimensione provinciale del paese e che, quindi, pretendevano di scalfirne la dura scorza che la rivestiva. L’avvocato non si arrendeva mai, credeva nel paese di Pirandello, e del grande drammaturgo era appassionato cultore, e voleva cambiarlo.
Ricordo un pomeriggio, mentre fuori soffiava il caldo vento di scirocco, una lunga chiacchierata nel suo studio al villino Agrò, proprio in fondo alla vecchia via La Porta, un tempo il centro del Paese.
In quell’occasione sembrò liberarsi delle sue frustrazioni, dei mancati traguardi e, appassionato, mi raccontò delle sue esperienze culturali. Della filodrammatica che in gioventù aveva promosso, degli scritti giovanili, delle sue aspirazioni letterarie. Era uno scrittore, ma rimaneva sconosciuto oltre Porto Empedocle.
Mi raccontava anche di tanti suoi coetanei, che avevano vissuto con lui quest’ansia creativa e che, purtroppo, si erano spenti nel grigiore della quotidianità. Lui sperava.
Sperava molto e godeva dei successi di quanti invece ce l’avevano fatta. A cominciare dal suo amico e compagno di studi, lo scrittore Andrea Camilleri, che aveva avuto il coraggio di lasciare il paese. E che cominciava a mietere successi. Ne parlava con quella passione sincera propria degli uomini puri.
Fofò Gaglio, come ho già detto, aveva la passione per la scrittura, ma era piuttosto riservato nel comunicare le sue avventure letterarie, quasi un’innata pudicizia. Ebbi il privilegio di leggere più di un suo lavoro. Ricordo un piccolo ma valoroso testo teatrale, mi pare titolasse “Pirandello, dopo”.
Mi diceva che l’aveva fatto vedere a Nené, parlo di Camilleri, e che a questi era piaciuto. Un testo che, alla fine, pubblicò a sue spese, come spesso accade ai principianti.
Gli ultimi anni di Fofò Gaglio, furono segnati da grandi dolori e amarezze, li visse infatti segnato dalla cecità. Lui, uomo generoso, non trovò infatti riscontro nell’altrui generosità.
In copertina, foto scattata a Scala dei Turchi (Realmonte) a pochi chilimetri da Porto Empedocle. Photo by davide ragusa on Unsplash
Nel testo, foto panoramica di Porto Empedocle da Agrigento. Foto tratta da Wikipedia e modificata nel setting colore, luce e contrasto. Di © José Luiz Bernardes Ribeiro, CC BY-SA 4.0. https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=38637721