di Vincenzo Pino
Abbiamo assistito ad un fenomeno strano in questi giorni. La chiarezza della politica (e dei politici) da un lato e la nebbia in cui si aggirano diversi commentatori dall’altro.
La chiarezza ha permesso di ricostruire i fili di questa crisi agostana al cui centro sta indubbiamente la divaricazione degli ex contrattisti di governo sulla scelta dei vertici europei.
Di Maio ha raccontato a “Di Martedì” dell’accordo raggiunto con Salvini per appoggiare la elezione di Ursula von der Leyen cui sarebbe corrisposto un portafoglio importante per la Lega nella nuova Commissione Europea. Accordo festeggiato da un tweet di Salvini il 2 luglio 2019.
La rottura di governo
Ma successivamente ed improvvisamente, Salvini fa saltare tutto. Perché? Ovvio, diremmo noi, perché la sua politica estera è determinata da Putin. E Putin vede come fumo negli occhi la Ue.
E tutta la sarabanda orchestrata qualche giorno fa in Parlamento lo dimostra ampiamente. Conte viene descritto come uno schiavo di Macron e della Markel. Gentiloni viene considerato un esecutore delle politiche rigoriste. Il quadro di governo uscito dall’alleanza giallo rossa viene rappresentato come la riedizione del governo Monti.
Niente di più falso, visto che il dibattito europeo è tutto rivolto a definire politiche espansive.
Ma l’orientamento filo-putiniano ed anti Ue della Lega è desumibile con chiarezza anche sulla questione dei migranti. Qui Salvini ha realizzato un asse di ferro coi paesi del blocco di Visegrad, quelli che si oppongono alla ricollocazione dei migranti nei loro territori e non collaborano affatto con l’Italia.
Esistono quindi motivi profondi per la rottura estiva di governo che finalmente vengono declinati di fronte alla pubblica opinione. Innanzitutto dai Cinque Stelle che devono motivare la scelta di aver cambiato alleanze e programmi con motivazioni politiche per arginare la campagna leghista sul “governo delle poltrone”.
Critiche al nuovo governo che lasciano perplessi
A fronte di tutto questo una serie di commentatori parlano, invece, di “fusione fredda” tra metalli incompatibili a proposito dell’alleanza Pd e Cinque Stelle. Per loro sarebbe stato giusto andare ad elezioni per suggellare questa svolta col consenso popolare.
Come se quella che aveva dato origine al governo precedente lo fosse stata.
Chi non ricorda le espressioni dei esponenti Cinque Stelle “mai con la Lega ladrona”? Ovvero i “giuramenti” dei leghisti “mai con i grillini”?
Eppure mai nessuno dei commentatori ha avanzato l’ipotesi allora che questa scelta sarebbe dovuta passare per una verifica elettorale.
Sempre un po’ perplessi, vogliamo ricordare che, grazie ai dibattiti parlamentari prima sulla sfiducia e successivamente sulla fiducia, il nuovo governo ha argomentato le proprie scelte. Proponendo una precisa ed articolata rappresentazione delle posizioni di partito di fronte alla pubblica opinione.
E forse giova anche ricordare che il compromesso storico tra Moro (Dc) e Berlinguer (Pci), oggi osannati un po’ da tutti, fu fatto senza andare prima alle urne. I due politici non lo proponevano manco per sogno di fare prima una campagna elettorale comune. Anche allora, come oggi, fu un compromesso dettato dalle esigenze del Paese.
Fatti, non manovre di palazzo
Ed accanto a queste dichiarazioni, interviste, dibattiti e momenti decisionali che hanno offerto uno spettro ampio delle decisioni che si andavano assumendo.
Con grande consenso dei contraenti, basta ricordare il voto all’unanimità espresso dalla Direzione del Pd e il consenso plebiscitario allo espresso sulla piattaforma Rousseau dai Cinque Stelle. O ancora i sondaggi che confermano questi orientamenti negli elettorati di riferimento.
Perplessi su un giornalismo disconnesso
Insomma la politica ha scelto ed anche abbastanza chiaramente sulla base di un proprio percorso decisionale autonomo e con fatti largamente percepibili dalla pubblica opinione. Ad alcuni commentatori alla De Angelis non resta che fare le bucce a tutto questo con motivazioni che lasciano perplessi e con argomenti speciosi.
Ieri si è particolarmente impegnato per una decina di minuti abbondanti sull’arzigogolo relativo alla modifica del decreto sicurezza ed alle contraddizioni che ne sarebbero derivate al Pd.
Non si sa da dove desumesse queste argomentazioni. Tutto ciò mentre i notiziari invadevano l’Italia delle notizie relative al superamento del trattato di Dublino, alla ripartizione automatica dei migranti con sanzioni a chi tra i paesi Ue li rifiutasse, al ripristino della missione Sophia ed all’impegno Ue a considerare gli sbarchi come approdi in Europa e non più nei singoli stati membri.
Si rimane perplessi sul dibattito politico-gionralistico in TV a fronte di una rottura così profonda del quadro politico precedente. Evidentemente, in molti non riescono a sintonizzarsi con quello che di nuovo è avvenuto per offrire un contributo di approfondimento all’opinione pubblica.