Il nuovo romanzo di Francesco Randazzo, “I duellanti di Algeri”, trasporta nella sconfinata immaginazione dei due grandi scrittori del Cinquecento. Ricordandoci le contraddizioni di oggi
di Gabriele Bonafede
Due uomini leggendari, in una leggendaria storia: Miguel Cervantes e Antonio Veneziano. Due amici come non mai, la loro prigionia ad Algeri e i loro tentativi di fuga. Che non possono non essere quelli della loro immaginazione e della loro sconfinata poesia letteraria.
Francesco Randazzo, con un ennesimo romanzo al confine tra realtà e fantasia e ben oltre, aggiunge al tutto la storia e la ricerca nel mondo delle biblioteche e delle lettere. Aggiunge la vera spinta creativa di quando lo scrittore si accosta al romanzo storico e fantastico al tempo stesso.
E lo fa in un volume che rimane tuttavia agile e snello, come un concentrato di storie. Come il succo saporoso del mare intero riunito a infinitesimo atomo, eppure capace di descrivere gli infiniti e perduti confini della magia letteraria.
Si tratta di “I duellanti di Algeri”, un racconto-romanzo con almeno due piani narrativi, tra il mondo di cinque secoli fa e quello di oggi.
Randazzo, partendo dalla spinta evocativa della ricerca storica e letteraria, pone il lettore di fronte ai temi del mondo odierno.
Quell’intimo cielo sul mare, descritto dalle poesie d’amore di Antonio Veneziano e le avventure “cavalleresche” di Miguel Cervantes, nasconde così un velo di segreti e di ricordi, di ondeggianti paralleli storici, tanto immaginifici quanto drammaticamente reali e attuali.
Quel mondo, che fa parte dei nostri avi, è ancora il nostro mondo, nel bene e nel male, nella speranza come nella disperazione. Nella reiterazione dell’epico errare odisseo attraverso il Mediterraneo come nell’increspata musica dei versi creati dal Petrarca Siciliano, appunto Antonio Veneziano.
Braccati, i due, pur nella loro cella buia e dura di solida pietra, spaziano e corrono, liberi, altrove. E fanno spaziare l’immaginazione del lettore, che può così creare, leggendo, il proprio mondo di ricerca e fantasia insieme ai protagonisti e insieme all’autore.
È una favola preziosa, una favola vera, che come tutte le magie affonda le sue anfibie radici nella realtà più comune eppure meno conosciuta delle nostre acque e delle umane terre.
Così si espandono, poi si ritraggono, e poi si espandono di nuovo a mare aperto tutti i segreti del tempo e dello spazio racchiusi nelle vite e nelle avventure dei protagonisti. Non a caso viventi in un cosmo, il Mare Mediterraneo, che allora come oggi, divide, ma, soprattutto, unisce in esperienze e tesori.
Sicché, alla fine del romanzo, rimane la certezza che quelle esperienze, quelle vite, quelle avventure sono come il grappolo d’uva al quale rimaniamo e rimarremo sempre vicini. Vitigno e frutto che nessuno potrà mai staccare dal corpo: il pensiero.