Il quadro dopo le elezioni Europee e amministrative. Dov’è finito veramente il popolo Pd del 41%? Non certo tra i pentastellati o la sinistra, ci dicono flussi e risultati. Con certezza
di Vincenzo Pino
Dopo le elezioni Europee ed il sorpasso sui Cinque Stelle il segretario Zingaretti ha festeggiato con il Pd il ritorno al bipolarismo classico destra/sinistra e l’importante passo in avanti per la possibilità di un’alternativa democratica al governo giallo-verde.
Ma la realtà è diversa. Si evita, infatti, di approfondire. Non si dice a chiare lettere che questo sorpasso é avvenuto grazie al precipizio elettorale del movimento e non certo per una crescita impetuosa del Pd.
E si nasconde sotto il tappeto il fatto che l’exploit della Lega è avvenuto non solo per il progressivo disfacimento di Forza Italia ma anche e soprattutto per l’apporto dei voti grillini. Si calcola siano stati l’8,5%, secondo diversi istituti che hanno studiato i flussi elettorali delle Europee rispetto alle politiche del 2018, quelli confluiti sulla Lega.
Così i risultati delle Europee ci consegnano una situazione molto più lontana ad una prospettiva di alternativa anche se il Pd diventa il secondo partito.
La distanza che alle politiche del 2018 tra centrodestra e centrosinistra era di circa 14 punti (37,0 a 22,8) è cresciuta a quasi 25 con il centro destra al 49,5 ed il centro sinistra al 25,8. Insomma secondi ma doppiati. E questo è un dato assai preoccupante.
Una verifica per Zingaretti
A conti fatti, tutto l’impianto politico su cui si è basata la vittoria di Zingaretti alle primarie è crollato alle prime verifiche. Ameno su due versanti.
Il primo è quello di allargare il campo delle alleanze a sinistra per crescere elettoralmente.
Qui, il bacino dei voti alle Europee è rimasto sempre quello formato da Pd, scissionisti, prodiani e cattolici ed il risultato è simile a quello del 2018 se li si somma insieme.
A conti fatti, ha portato 140mila voti in meno rispetto alle stesse politiche del 2018. E si ricordi che Renzi dal 2013 al 2014 ne conquistò un milione e seicentomila dalle politiche del 2013 alle Europee del 2014.
Emerge, poi, come sia venuto meno un altro dei mantra dell’impostazione zingarettiana, quello per cui un deciso spostamento a sinistra, insieme all’accantonamento di Renzi, avrebbero fatto ritornare i consensi dei cinque stelle verso il Pd. Mentre invece la direzione è stata opposta, verso la Lega, come si è detto su.
“Il nostro popolo perduto” lo chiamava su Repubblica nel settembre 2018, rilanciando il mantra dalemiano del 1995 a proposito della Lega come “costola della sinistra”.
Problemi di linea politica
Così alla fine di questa ascesa interna di Zingaretti il Pd è senza una linea politica credibile e senza una prospettiva significativa di crescita.
Nell’azione d’opposizione fa riferimento al fallimento delle politiche di governo rispetto a quelle a guida Pd, che in mesi non lontani definiva sbagliate, e per le quali si doveva chiedere scusa al popolo italiano.
Nella prospettiva a medio periodo non si vede un’asse strategico sul quale puntare per recuperare il gap col centrodestra in permanente crescita, come le elezioni in Piemonte hanno ulteriormente dimostrato.
Certo, restano le vittorie importanti delle amministrazioni locali per le quali, rispetto alle formule astruse del politichese, hanno prevalso le leadership personali di sindaci come Gori, De Caro, Nardella e tanti altri. e Ma non certo i “campi larghi” evocati da Smeriglio.
Siamo di nuovo con un Pd in mezzo al guado, invocando la creazione miracolistica di un centro democratico, per potercisi alleare.
Il centro democratico liquidato ed ora invocato
Un centro democratico che, però, stava tutto all’interno del perimetro Pd alle Europee del 2014, quando si arrivò al 41%. E che è stato picconato giorno dopo giorno con una campagna di delegittimazione permanente sul piano politico con la definizione di partito della nazione e sul piano sociale da un assalto della Cgil senza pari nella storia d’Italia.
Di fronte a queste difficoltà ed a questi nodi strategici, che hanno ristretto il campo di attrattività democratica, la risposta di Zingaretti, ora, sembra quella di rinchiudersi ulteriormente ai margini del campo di gioco, nella ridotta di sinistra, appunto. In un consolatorio 25-30% con cui andare sicuri della sconfitta al prossimo appuntamento elettorale.
Sardegna, continua il trend negativo del Pd di Zingaretti
Ed in Sardegna i risultati alle amministrative confermano questo trend dopo la sconfitta alle regionali di qualche mese fa.
Il Pd perde Cagliari ed Alghero, e non si può consolare con il momentaneo vantaggio di Sassari ampiamente ribaltabile al ballottaggio da parte del centrodestra.
Ma se approfondissimo lo sguardo scopriremmo che, assieme alla destra, il vero vincitore di questa ultima tornata sarda è stato ancora l’astensionismo.
Un fenomeno che fa dire oggi ad Ilvio Diamanti su Repubblica: Né destra né sinistra cresce l’Italia che sta fuori.
Astensione e recupero democratico
Quando avremo un programma politico in grado di rivolgerci a questo insieme così grande ed assente dalla scena elettorale? Dove sta certamente una parte grande di quelli che nel 2014 e nel 2016 contribuirono a proiettare al 41% di consensi la vocazione maggioritaria e riformista del Pd.
Invece si tenta di inseguire una estrema sinistra inesistente elettoralmente da ormai un decennio ed un movimento penta stellato. Il cui elettorato ama di gran lunga di più i richiami salviniani piuttosto che l’etichettatura forzata di sinistra.
Quando si aprirà un dibattito politico vero su tutto ciò? Ad Assisi la componente renziana ha posto il tema.
Si aspettano risposte che non sono mai venute sulle cause della crisi del Pd. Non certo riti tribali sacrificali come quando si è preferito liquidare Renzi per la sconfitta subita nel 2018 senza approfondirne le cause.
Ed ora che queste si susseguono ad un ritmo impressionante dalle dimissioni dello stesso, per le elezioni Europee, si parla di tenuta e quasi di vittoria del campo largo zingarettiano.
Non c’è nessuno che imputa a Zingaretti le sconfitte che si sono susseguite in quest’ultimo anno, dopo la frettolosa liquidazione di Renzi, ma non è arrivato il momento di fare un’analisi seria e documentata delle cose? Per aprire prospettive altrettanto serie? E per chiedersi dov’è finito veramente il popolo del 41%? Non certo tra i pentastellati o la sinistra, ci dicono le elezioni. Con certezza.