Come aggregare una forza politica che reinserisca l’Italia in un’Europa di progresso, fermando la deriva populista votata al fallimento finanziario
di Vincenzo Pino
Enrico Morando, già viceministro all’economia dei governi Renzi e Gentiloni, ha illustrato con una chiarezza impressionante qual è il nodo strategico che il Pd si trova ad affrontare in questa fase.
Lo ha fatto nel corso di un intervento durato solo pochi minuti all’appuntamento dell’associazione “Sempre Avanti” ad Assisi.
Niente fumisterie verbali, al contrario, descrizione di linee, percorsi e scelte che danno l’idea di come si agisce strategicamente mentre oggi il Pd farfuglia sulla linea politica da seguire.
Fare un partito di centro che non c’è? Come se la formazione di un Partito potesse essere emanazione di un altro, modello Partito (cattolico) dei contadini, realizzato dal Partito Comunista Polacco nel dopoguerra?
Un Pd europeo
Ma tornando alle questioni serie, ci domandiamo e tentiamo di rispondere assieme a lui. Qual è la contrapposizione principale tra le forze politiche in Italia, in questa fase in Italia ed in Europa? Quella tra riformisti e populisti ha chiarito con nettezza.
Una contrapposizione che esiste in tutta Europa e che vede l’Italia unica nazione dove sono i sovranisti a prevalere mentre nel resto d’ Europa si attestano al 10%. Unica eccezione la Francia col suo tradizionale 25% dei nazionalisti di Le Pen.
E qual è il terreno sul quale, fallito il disegno di una maggioranza sovranista a livello europeo, le forze di governo italiano intendono combattere ora? Quello della rottura europea, delle sue regole e della solidità della sua moneta.
E tutto ciò mentre Francia e Germania stanno lavorando già da un anno alla definizione di un bilancio unico dell’area Euro.
Dedicato ad un piano di investimenti per ridurre il gap europeo tra i paesi membri che sarebbe sostenuto anche attraverso la emissione di Eurobond.
Un programma a cui l’Italia dovrebbe essere particolarmente attenta per i benefici che ne deriverebbero al nostro sistema paese.
Mentre le due forze di governo italiane, in maniera ormai esplicita, stanno invece operando per distruggere questa possibilità. Una possibilità che invece va rilanciata, insieme a una strategia articolata, da un Pd europeo a vocazione di governo nazionale nell’ambito di una UE più frte e rilanciata economicamente e socialmente.
I passaggi dei populisti per rompere con la Ue
Era chiaro già dai rispettivi programmi alla base del contratto di governo, quando ognuno dei due contraenti metteva alla base del proprio programma la necessità di recuperare la sovranità monetaria per potere attuare politiche di spesa al di fuori di qualsiasi regola.
E non certo per investimenti ma per spesa improduttiva che non rilancia la crescita e l’occupazione, come sta avvenendo dal secondo semestre del 2018.
Avevano tentato con una prima sortita a maggio quando avevano scritto, nero su bianco nel contratto, che volevano azzerati 250 miliardi di debiti dalla Bce.
Avevano continuato con la manovra finanziaria del 2018, quando la battaglia era stato per sforare il deficit dell’1,9% concordato da Tria in sede Ecofin per potere realizzare quota 100 e reddito di cittadinanza, limitando invece la quota di investimento di 1,8 miliardi. E poi con la flat tax senza coperture di bilancio.
E poi ora con la pantomima dei minibot, un continuo ricatto. Additando ad esempio il Giappone col suo 200 per cento di debito rispetto al Pil. Scordandosi però che quella nazione viaggia a ritmi di crescita annua pari al 2% e il suo spread si mantiene su livelli inferiori a quelli italiani. Oltre ad aessere tecnologicamente ed amministrativamente molto più avanzata ed efficiente dell’Italia.
Al contrario di un Italia a crescita zero e che viaggia con uno spread vicino ai 300 punti, che con questa tendenza sarebbe destinata al fallimento. Ma è questa la scommessa che stanno facendo i populisti. Minacciando che un eventuale fallimento dell’Italia coinvolgerebbe tutta l’area Euro. Un ricatto, insomma, sulla pelle dell’Italia.
Chi non ha capito tutto questo e non riesce a comprendere che la solidità del governo gialloverde si regge su questa ipotesi politica è proprio digiuno di capacità analitica e si attarda a giocare alla politica con i soliti schemini da geometria spaziale.
E per capirlo basta pensare che anche Di Battista ha condiviso la ipotesi dei minibot, loro sono affascinati dal fallimento argentino. Alla cui base c’è stata anche la emissione dei Patacon (sic), come moneta parallela al peso, quando la parità concordata col dollaro non reggeva. O come il Venezuela dove l’inflazione si misura ormai a ritmi da Repubblica di Weimar. Ed erano i paesi più ricchi del Sud America.
Questo è il destino che vorrebbero riservare all’Italia per poi eventualmente scaricare la responsabilità all’Europa.
Può essere che un grande partito non si misuri su questo, aprendo alle associazioni di categoria, ai ceti produttivi, creando un grande fronte riformistico che guardi al lavoro, agli investimenti ed allo sviluppo?
Questo è il campo largo in grado di far riprendere al Pd quello spazio che è stato perduto da un quinquennio a questa parte. Ossia un partito della nazione Italia, pienamente integrato nella prospettiva europeista e nel suo disegno di sviluppo.
Un Pd europeo che recuperi dall’astensione coloro i quali credono in questo disegno. E sono in tanti a non sentirsi rappresentati dall’attuale configurazione e dalle linee degli schieramenti politici.
Basta prospettare con chiarezza il programma, evitare distinzioni tra leghisti e penta stellati animati, come si è cercato di dire, dallo stesso disegno strategico.