Nel Regno Unito un autogol colossale di Farage: ha trasformato il voto europeo in un referendum sulla Brexit. E lo ha perso nonostante la costosa ma parziale affermazione. In Italia non se ne accorge nessuno
di Gabriele Bonafede
In questa Italietta incapace di guardare al di là del proprio naso, nessuno o pochi hanno approfondito veramente cosa sia successo nel Regno Unito con le elezioni europee del 2019. Per trovare commenti sul voto dalle parti di Londra li si deve cercare con pazienza. Se ci sono, sono relegati in secondo piano, persino nelle testate più attente agli accadimenti esteri.
Eppure, il voto nel Regno Unito è stato epocale da molti punti di vista. Ed è anche il più significativo in assoluto per il futuro dell’Unione Europea.
Qui si trovano ulteriori segnali dell’incapacità tutta italiana di cogliere cosa sia successo. Sarà perché pochi italiani parlano lingue straniere, persino l’inglese? Possibile. Ma non è una giustificazione.
Il fatto è che in questa provinciale e derelitta Italia, il voto nel Regno Unito è stato troppo presto derubricato a esercizio inutile, dando per certa la Brexit.
Si è visto il successo largamente incompleto del partito di Farage, il “Brexit Party”, come un successo della Brexit. Niente di più sbagliato.
Il partito di Farage nonostante il sostegno di giornali e TV una volta neutrali, come la BBC, ha registrato più una sconfitta che un successo. Ha conquistato il 31,6% del voto, dopo una campagna elettorale nella quale è stato onnipresente e sostenuto da copiosi mezzi finanziari, per altro oscuri e al momento sotto indagine. Era palese che Farage puntasse al 40% o più. Si è fermato molto lontano da quel risultato.
Ma, al di là di un successo monco, la formazione di un siffatto partito si è rivelata un autogol politico colossale. Cosa non del tutto compresa da chi gli va appresso, soprattutto in Italia. Creando un partito per la Brexit, tra l’altro una Brexit a tutti i costi compreso il famigerato No-Deal, ha realizzato ciò che avrebbe voluto evitare in assoluto: trasformare il voto alle europee in un referendum pro o contro la Brexit. Per giunta perdendolo perché si è fermato a ben 19 punti percentuali dalla maggioranza assoluta.
In questo contesto, infatti, ha costretto gli altri partiti a prendere una posizione chiara e netta sulla Brexit. Chi l’ha presa è stato premiato, chi invece è rimasto a metà del guado, come Laburisti e Conservatori, è stato duramente punito dal voto.
In particolare, i Conservatori hanno subito una tale sconfitta da rischiare di essere spazzati via dal prossimo Parlamento per il quale si voterà con il sistema maggioritario secco britannico.
Con meno del 10% sarebbero pochissimi i seggi che conquisterebbero, forse nessuno. Specialmente se guidati da Boris Johnson, un politico semplicemente disastroso.
Ma il dato che mette quasi certamente la parola fine alla follia della Brexit è il felice risultato dei partiti che si sono schierati contro di essa, primo tra tutti il Partito Liberaldemocratico, vero vincitore delle elezioni nel Regno Unito. I cinque partiti chiaramente contrari alla Brexit senza se e senza ma hanno infatti raccolto il 40,4% del voto. Il Brexit Party e l’Ukip, che sono i due partiti a favore della Brexit senza se e senza ma, hanno raccolto appena il 34,9%.
A questo, vanno aggiunte altre considerazioni sui i due partiti “mainstream” fino a ieri, i Conservatori e i Laburisti. Il primo, massacrato da una gestione folle da parte di Theresa May, è sì per la Brexit, ma non per la Brexit No-Deal. Ancora meno lo è il partito Laburista che è alla ricerca di una soft-Brexit.
Ambedue i disegni sono assolutamente impossibili e comunque non sostenuti dall’elettorato. Inoltre, molti voti andati ai laburisti, forse una buona metà, provengono da convinti “remainers”, elettori contro la Brexit che hanno votato laburista esclusivamente per titolo di appartenenza e per rinforzare i socialdemocratici a Bruxelles.
Non stupisce che nei sondaggi per un eventuale, nuovo, referendum sulla Brexit i remainers vincerebbero ormai con 10-12 punti percentuali di vantaggio. Vantaggio che va aumentando e che dopo queste elezioni europee, avrà probabilmente un ulteriore slancio.
Vista la situazione, e cercando di mantenere la poltrona di leader dei laburisti nonostante il disastro elettorale, Corbyn ha adesso proposto di sostenere un referendum di approvazione di un eventuale deal o no-deal che sia.
Dal canto suo, il partito Conservatore si avvia a diventare il due di coppe con la brscola a denari: un declino inesorabile per aver cavalcato il sovranismo e l’estremismo dei pro-Brexit e poi scontrarsi con l’impraticabilità della stessa Brexit, sempre e comunque.
Il più grande vincitore è il partito Liberaldemocratico che ha saputo coniugare i migliori valori di libertà, coerenza, realismo. Ha capito che la Brexit è fisicamente impossibile da realizzare, a meno che non si strappi la Gran Bretagna dalla carta geografica e la si porti su un altro continente del mondo, o persino sulla luna. Cosa che puoi pure stabilire con una legge, un decreto e persino con un referendum. Ma che è impossibile oltre che inutile e dannoso.
I Liberaldemocratici sono adesso il secondo partito del Regno Unito e il primo a Londra e in altre città-chiave. Con il 20,3% raggingono il miglior risultato di sempre in elezioni europee. Tutto ciò grazie a una coerente e realistica posizione sulla Brexit. Dicendo chiaramente e fin dall’inizio che la Brexit è inutile, dannosa, divisiva, irrealizzabile e decisamente autolesionista.
Le elezioni europee nel Regno Unito portano a Bruxelles un grande sostegno contro la Brexit e contro i sovranismi/fascismi. Sancendo, probabilmente, l’inizio della fine per la follia, o chimera, chiamata Brexit.