di Vincenzo Pino
Era il 2 giugno 2018 e la solennità dell’occasione era parsa adeguata al neo vice Presidente del Consiglio per dare tutta l’enfasi possibile all’annuncio. Anticipato dall’immarcescibile Travaglio il giorno prima sul fatto quotidiano.
“Squadra senza indagati e condannati, un unicum dal 1994”. Recitavano all’unisono. La coincidenza del 1994 non era neanch’essa casuale, visto che quella stagione del 1994 aveva battezzato la seconda repubblica di berlusconiana memoria.
E così nell’occasione del 2 giugno, Di Maio annunciava la nascita della terza Repubblica, quella del popolo onesto alla guida del paese.
Una sceneggiatura ben fatta ed un copione splendidamente recitato per il pubblico adorante di allora ma subitamente contraddetto nel giro di una decina di giorni nel segreto dei corridoi del potere. Quando nel governo fu imbarcato un certo Siri, condannato grazie ad un patteggiamento ad un anno ed otto mesi per bancarotta fraudolenta mentre la pena edittale per il reato andava da tre anni a dieci.
Il primo di una serie di inciuci provati, nel quadro dell’inciucione galattico generale, chiamato “contratto di governo”.
Ma il sopraddetto vice non si fermò qui. Nella occasione del crollo rovinoso del ponte Morandi a Genova ne lanciò un’altra delle sue.
“Autostrade gode di questa concessione privilegiata grazie al governo Prodi”, disse, rivolgendo un attacco immotivato e falso al governo di allora, e lanciando il sospetto di donazioni fatte da Benetton ad esponenti del governo di centro sinistra mentre invece risulta agli atti che la donazione fu fatta alla Lega e fa bella mostra di sé nel bilancio dell’anno 2006.
E fu quella la seconda volta che Di Maio grazie al credito che godeva nel paese riuscì a dirottare le responsabilità dell’alleato contro il nemico Pd e contro Renzi realizzando un grande successo assieme al partner, immortalato in occasione dei funerali.
Come importante fu il sostegno dato a Salvini per la vicenda Diciotti, quando non solo votò contro l’autorizzazione a procedere per il sodale alleato, ma arrivò anche ad autodenunciarsi per la vicenda senza però che vi fossero prove documentali che quella decisione indegna fosse sostenuta da un atto documentale del governo.
Aveva quindi i suoi buoni motivi il Di Maio a pretendere una qualche forma di riconoscenza dal sodale. Ma quando si rese evidente che questa politica gli aveva sottratto un forte consenso cercò di reagire di fronte all’attacco quotidiano del partner di governo. E così tenne botta sulla Tav, rinviando solo di sei mesi, l’avvio dei lavori, reagì sulla vicenda Verona e fu, quasi, per lui una manna del cielo l’avvio del procedimento per corruzione nei confronti del sottosegretario Siri.
Ora vi era l’occasione per ribaltare l’andamento politico elettorale e mettere finalmente sulla difensiva la predonesca Lega. Ma gli inciuci sono inciuci, anche se li si vogliono chiamare “contratti”. E adesso sono inciuci provati, a 360 gradi, persino “a 370”.
Una resipiscenza assai tarda, infine, ma solo di recente. Visto che tutti ne conoscevano non solo la fedina penale ma anche i suoi tentativi di favorire il gruppo Arata perpetrati nella legge finanziaria con gli emendamenti ad personam per riconoscergli somme passate rivalutando i finanziamenti fino ad allora percepiti dal suddetto.
C’è voluta una inchiesta della Magistratura, perciò, ed un pericolo di débâcle elettorale di proporzioni gigantesche per illuminare di nuovo la stella dell’onestà per i cinque stelle. E che la bandiera dell’onestà si sollevi solo in relazione alla convenienza politica si può evincere da un altro episodio di cui il viceministro è stato protagonista.
A seguito della rovinosa sconfitta nel comune di Bagheria, in Sicilia, ha affermato che quell’amministrazione non era penta stellata. Eppure il sindaco inquisito non è stato sfiduciato dai consiglieri cinque stelle, che erano 18 su 20.
Nemmeno quando, nel settembre 2017, lo stesso era stato oggetto di indagine. Si era soltanto “autosospeso” dal movimento ma non si era dimesso né, al contrario, aveva mancato di sostenerlo il successivo 4 marzo, come da foto.
Ed i risultati non erano mancati. Visto che nel collegio nel 2018 il M5S raggiunse il 47,5% dei suffragi. Ora che invece l’amministrazione penta-stellata con un candidato sindaco ex assessore uscente della giunta è stato sonoramente bocciato, i vertici del M5S affermano quasi di non conoscerli.
Ma Di Maio è fatto così. Sembra il concentrato dell’opportunismo, una specie di Ercolino sempre in piedi. L’Italia merita ben altro.