Al Teatro Biondo di Palermo il testo del drammaturgo spagnolo interpretato da Lucia Sardo e Luigi Tabita con la regia di Francesco Randazzo. Attraversando degenerazione, rigenerazione e comprensione
di Gabriele Bonafede
La stagione del Biondo 2018-2019 intitolata [de]generazioni, si conferma particolarmente interessante con “La rondine” di Guillem Clua (titolo originale “La golondrina”), alla Sala Strehler in questi giorni, prodotto dal Teatro Stabile di Catania con la regia del siracusano Francesco Randazzo e interpretato da Lucia Sardo e Luigi Tabita.
Tra i testi più rappresentativi per il tema della stagione voluto da Roberto Alajmo, La rondine parte dalle degenerazioni più attuali, del nostro tempo, per arrivare a una generazione e rigenerazione che ne chiuda il cerchio con rinnovata speranza.
Premiato più volte, il testo richiede grande dedizione per l’interpretazione, essendo sempre sul filo dell’equilibrio emozionale tra la vita di ogni giorno e accadimenti particolarmente tragici.
Così lo interpretano Lucia Sardo e Luigi Tabita: raccogliendo ed esaltando il crescendo drammaturgico drappeggiato in scena. A seguirli, ci si rende subito conto che solo il teatro può immettere quello sconvolgimento diretto che non è dato mai così appieno dal cinema.
Al centro della vicenda, l’orrore del massacro al night club Pulse di Orlando, in Florida, avvenuto nel giugno 2016. Noto come la Strage di Orlando, è l’attentato terroristico in un locale LGBT che costò la vita a quarantanove giovani e al pazzo omicida, abbattuto dalla polizia dopo ore e ore di mostruosi spari a bruciapelo.
Quella strage segnò un’ulteriore escalation nella violenza da parte di squilibrati avviati al pluri-omicidio dalla degenerazione disseminata dall’odio, da qualsiasi parte essa provenga. All’occorrenza si trattava di un gesto pazzoide di riferimento terroristico, in quel caso estremismo islamico, aggravato nell’ampiezza letale dalla facilità con la quale ci si possono procurare armi negli USA.
Ma il quadro che coglie La rondine non è solamente una riflessione sulla distruzione dell’umanità attraverso la violenza gratuita, sia essa convogliata da espressioni di estremismi islamisti, neonazisti, suprematisti, intolleranti di varia natura, o meno. Il quadro di riferimento va ben oltre e vira ben presto a quello della rigenerazione, come detto innanzi.
Cioè del come affrontare l’intima distruzione della vita passata, e di intere famiglie, affrontando il dramma in una modalità dialogante. E ciò che è veramente dialogante non può non partire dalla diversità d’opinione. Qui è il grande pregio del testo e della specifica rappresentazione a teatro ricreata da Randazzo con due attori particolarmente adatti a questa scena.
Al centro del paradigma c’è, certo, l’amore. Ma non solo. Ciò che riesce a coinvolgere è la ricerca dell’empatia, del parlarsi, dello scoprire le proprie verità: la mutua comprensione, il mutuo, faticoso rivelarsi, esaltato dalla forte rappresentazione teatrale di interpreti e scenografia.
Ri-comprendersi in un contesto familiare ed emotivo lacerato e distrutto è la sfida dei tre protagonisti, dei quali due sono in scena fisicamente, e uno è sempre presente anche nell’assenza. Una sfida che deve passare attraverso la presa di coscienza delle diversità proprie e altrui, attraverso l’accettazione di punti di vista profondamente diversi l’uno dall’altro. Rimettere al centro, dunque, non solo il sentimento più amato dall’uomo, l’amore, ma soprattutto il sentimento più importante: il fluire vitale. Che passa, necessariamente, dall’accettare l’altrui svelarsi.
Francesco Randazzo, con le epitomi e i simboli propri del teatro, sa come realizzare tutto questo grazie alla sua sensibilità drammaturgica e a quella dei due interpreti, Lucia Sardo e Luigi Tabita. Insieme, fanno volteggiare la rondine nel suo volo di partenza e nel baciato ritorno al nido.
La rondine
(La canzone di Marta)
di Guillem Clua, traduzione Martina Vannucci, adattamento di Pino Tierno, regia e ideazione scenica Francesco Randazzo, musiche originali Massimiliano Pace, costumi Riccardo Cappello, luci Salvo Costa , con Lucia Sardo e Luigi Tabita, produzione Teatro Stabile di Catania, durata: 1 ora e 15 minuti.
Foto di scena, in copertina e nel testo di questo articolo, di Antonio Parrinello.