di Vincenzo Pino
Sono cinque i principali capitoli di un disastro annunciato, con annesse patacche. Ovvero, con promesse mancate da parte del Ministro del Lavoro Luigi Di Maio. Promesse mancate perché irrealizzabili o, peggio, rese impossibili da un’azione di governo che ha peggiorato le cose anziché migliorarle. Questi cinque capitoli costituiscono una cronaca d’insieme quanto meno sconfortante. Che ci fornisce conclusioni per le quali si attendono ancora risposte da parte di Di Maio e il governo Legastella.
Capitolo uno. I riders.
Era il 4 giugno quando Luigi Di Maio annunciava in conferenza stampa di aver passato la sua prima giornata di ministro del lavoro coi riders.
Aveva promesso di risolvere i loro problemi con il decreto dignità ma un mese dopo di una norma a salvaguardia di quei lavoratori nel provvedimento non c’era nulla.
“Affideremo la questione alla concertazione sindacale prevedendo un contratto nazionale di lavoro” rilanciò quel giorno quando emanò il decreto. Una promessa vaga, affidata a soggetti esterni, senza una norma cogente che si facesse carico della questione. Infatti dopo quasi un anno non è stato fatto nulla.
L’unica norma che fu possibile utilizzare per i riders al contrario fu l’articolo 2 del Dlgs 81/2015 il famigerato “Jobs Act” in base al quale la Corte d’appello di Torino sentenziò il riconoscimento di una serie di diritti che li assimilavano ai lavoratori dipendenti.
Capitolo due. Il lavoro a tempo determinato.
Esaurito il fallimentare capitolo riders, il Ministro si lanciò in un’altra campagna di guerra: quella contro il lavoro a tempo determinato.
“Non è possibile che si possa lavorare fino a tre anni in maniera precaria” tuonò riducendo il possibile tempo di utilizzo ad uno e vincolando il rinnovo per il secondo anno alla motivazione.
Cercarono di spiegargli i tecnici del Ministero e la Presidenza dell’Inps che un provvedimento così fatto avrebbe ulteriormente accentuato la precarietà, visto che le imprese per evitare il pericolo di contenzioso avrebbero limitato ad un anno il contratto provvedendo poi alla sostituzione del soggetto utilizzato.
Ma non ci fu verso di farglielo capire, in quel periodo la furia del Giggino era tutta rivolta alle imprese, definite come una massa predonesca che godeva della precarietà del lavoro, prendeva soldi dallo stato per farne l’uso più’ gradito. Coniò allora il termine “prenditori” per loro col che chiuse ogni rapporto ed anche le orecchie a tutti quelli che lo invitavano a cambiare il provvedimento dal Presidente dell’Inps che gli comunicò per iscritto che sarebbero stati 80 mila in meno questi lavoratori nel decennio (ma lui non lo lesse), l’ordine dei commercialisti che aveva segnalato le preoccupazioni dei datori di lavoro, rispetto al rinnovo dei contratti in scadenza.
Ma lui non volle sentire ragioni.
Capitolo tre. La rinascita delle false partite Iva per sostituire il lavoro dipendente.
Ci fu anche chi, come l’Associazione Italiana dei Direttori del Personale espresse la preoccupazione che il decreto dignità combinato con le agevolazioni previste in Finanziaria sulla tassazione agevolata del lavoro autonomo avrebbe fatto risorgere il fenomeno delle “false partite Iva” che avrebbero ancora più precarizzato il mondo del lavoro dipendente ma di questi argomenti il prode Giggino che di lavoro ne deve capire quanto me di sanscrito continuò per la sua strada.
Capitolo quattro. L’articolo 18.
Aveva lasciato intendere nella sua accanita campagna elettorale contro il jobs act che nel decreto dignità sarebbe stato ripristinato.
Ed invece a fronte di un emendamento in Parlamento di LeU in questa direzione il governo provvide a bocciarlo, lasciando intatto tutto l’impianto del Jobs Act. E deludendo quella parte del sindacato che si era visto accanto i Cinque Stelle nella fase di raccolta delle firme per il referendum e magari per questo l’aveva votato. Ma a questi poverini non era mai venuto in testa che in quella fase tutto faceva brodo contro i governi Pd per la campagna elettorale e dopo “chi s’è visto s’è visto”.
Capitolo cinque. La Cassa integrazione.
Ma fu la vicenda della scadenza della Cassa integrazione per diverse migliaia di lavoratori a mandarlo del tutto in bestia. “Assassino chi ha voluto il Jobs Act” tuonò in quella occasione.
Non si riesce a capire da dove venisse questa animosità al bibitaro se non dal fatto che doveva disporre un finanziamento di proroga alla stessa. Ma è intuibile il retro pensiero. Tutti i soldi dovevano andare al reddito di cittadinanza in questo campo e questa insorgenza ne scombinava i piani.
Conclusione
A febbraio 2019 sono stati pubblicati i dati Istat della rilevazione campionaria del mercato del lavoro. In base a questi, tra febbraio e gennaio si sono persi nell’ambito del lavoro dipendente 33mila lavoratori stabili e 11mila a tempo determinato.
Sarebbero 44 mila solo in un mese ma la perdita è stata contenuta per il fatto che si sono registrati 30mila nuovi occupati autonomi. fenomeno ascrivibile alla esplosione delle false partite Iva che compensa in parte queste perdite.
È presumibile, quindi, che si siano verificate tutte le condizioni negative prospettate al momento della emanazione del decreto dignità. Non c’è nessun incremento di lavoro stabile come annunciato in quella occasione anzi la perdita è drammatica per questa fattispecie lavorativa. C’è una perdita anche tra i lavoratori a tempo determinato per i probabili mancati rinnovi.
Dovessimo sintetizzare il decreto dignità si potrebbe dire meno lavoro e più precarietà (in quanto le partite Iva tutelano molto meno i lavoratori dei contratti a tempo determinato). A febbraio poi le cifre ci dicono che nel complesso si perdono 14mila posti di lavoro.
Praticamente, sono 425 occupati in meno al giorno, mentre per gli anni dei governi a guida Pd sono stati 725 al giorno in più. Anche qui come negli indicatori del prodotto interno lordo si passa dal segno positivo a quello negativo.
Sarà un anno orrido, grazie al Ministro della Disoccupazione e della Crescita del Precariato.
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Si doveva eliminare la piaga dell’uso di False partite ive e invece nella sanità privata siamo pieni di finti autonomi!
Infermieri, tecnici di radiologia, fisioterapisti, tecnici di laboratorio e persino medici…tutti false partite iva!
Dipendenti a tutti gli effetti, con turni, orari, macchinari, locali e prestazioni stabilite dal committente! senza diritti e senza alcuna autonomia delle prestazioni del proprio tempo e neanche del proprio compenso!