di Vincenzo Pino
Occorre dire che lo spazio occupato nei media da Bersani in questi ultimi anni è cresciuto in termini inversamente proporzionali al suo peso politico.
Una stranezza vederlo ad ogni piè sospinto nei talk show, quando formazioni di ben più larga consistenza non appaiono mai. Intendo riferirmi a PaP, alla formazione di Pizzarotti, a +Europa di Bonino.
Perché allora Bersani?
Perché Bersani fornisce una narrazione stucchevole della vicenda politica italiana. Quella che imputa a Renzi la crisi del Partito Democratico. Una narrazione che è molto in linea con gli orientamenti politici dei talk show.
L’occhio e la memoria devono essere puntati sulla sconfitta di Renzi e mai su quella di Bersani che organizzò una scissione con una nota e perdente motivazione. Quella di andare a raccogliere i voti nel “bosco” trasmigrati verso i grillini, a causa della politica “di destra” operata dai governi a guida Pd. E i miseri risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Si potrebbe dire, al contrario, che fu proprio Bersani uno degli artefici della crescita del Movimento Cinque Stelle, visto che si scagliava contro Renzi con gli stessi argomenti dei grillini. Si sa che da parte dell’elettorato si preferisce sempre l’originale alla copia scolorita.
Gli esempi delle posizioni di Bersani nel portare acqua al mulino Cinque Stelle sono tanti: Il No alla riforma costituzionale che aveva prima votato per ben sei volte, l’attenzione ai diritti del mondo del lavoro dopo che aveva scardinato l’articolo 18 con la legge 92/2012, con il diritto alla salute minacciato dai supertickets che lui aveva approvato nella legge finanziaria 2012. Esempio ancora più evidente è che il Pd bersaniano nel giugno 2012 festeggiava l’abolizione dell’articolo 18. La memoria, questa sconosciuta.
Il protagonista di una sconfitta epocale e ridotto con le pezze nel sedere secondo tutti i sondaggi sta lì invece lì pontificare su destra e sinistra, senza mai rendere conto delle sue scelte e dei risultati ottenuti e meno che mai dei suoi comportamenti. Solo Sallusti ha avuto l’ardire, a dirla tutta.
Vediamo di ricostruire la sconosciuta memoria.
Bersani imputa e Renzi l’ascesa dei grillini mentre è con la sua direzione che i Cinque Stelle diventano il primo partito nel 2013. Un balzo inaspettato. Bersani poi insiste per un governo coi grillini, definiti affini al Pd, quando proprio lui fu mandato a quel paese proprio dagli stessi individuandolo come esponente della vecchia politica. Ma il Bersa è fissato, la coazione sembra il suo mantra. E non fa che riproporlo, sono ormai sei anni. Pensate come potrebbe riuscirci ora, se già sei anni fa è stato definito in quel modo. E non mi pare che sia ringiovanito nel frattempo, né anagraficamente, né politicamente.
E lo arricchisce con elementi stucchevoli sempre nuovi. Lo abbiamo visto recentemente tuonare nei talk show, contro Renzi reo di aver abolito l’articolo 18 mentre al contrario è stato lui ad averlo fatto. Ora si è inventata l’ultima “ricostruzione” stucchevole. Che è, a ben vedere, una falsità: quella della sua espulsione dal Pd. Con quale faccia si presenti per dire queste cose non si sa.
Ancora una volta sarà bene ricostruire qualche pezzo di storia e di memoria.
Alla fine del 2016, la minoranza interna al Pd che faceva capo a Emiliano e Rossi, chiese un congresso straordinario del Pd a seguito della sconfitta referendaria. Emiliano minacciò le carte bollate, se ci si ricorda. Lanciarono petizioni on line e dichiarazioni di fuoco per far dimettere Renzi ed avviare il percorso congressuale.
Dopo una iniziale resistenza volta a seguire i tempi statutari che lo prevedevano a dicembre 2017 il gruppo dirigente del Pd di allora si convinse delle argomentazioni della minoranza. Ed il 13 Febbraio del 2017, la direzione del Pd approvò l’avvio del percorso congressuale con 107 voti favorevoli e 12 contrari. Questi 12 voti contrari, per colmo di gattopardismo, erano proprio quelli che avevano chiesto il congresso straordinario a tamburo battente e che ora, invece, volevano rinviare. Emiliano e Rossi ci hanno abituato a queste giravolte dal sapore pirandelliano.
Dopo questa decisione la minoranza decise di uscire dal Pd e 12 giorni dopo, il 25 febbraio 2017, annunciò con la gioia che gli sprizzava da ogni poro, la nascita di MdP con relativo simbolo già pronto e la confluenza di Massimo D’Alema (toh, il Conte Max è sempre sulla pista da ballo quando si tratta di Gattopardi).
Dov’è questa espulsione di cui ha parlato Bersani quando avevano preparato già tutto?
È stata la convocazione del Congresso Pd e la fissazione della data a determinare la scissione visto che Speranza veniva quotato alle primarie dal 3 al 5%. E nel frattempo D’Alema aveva fondato un nuovo movimento di sinistra che con l’apporto della scissione davano all’8-10% al 30 gennaio 2018. Come qui si riporta nell’immagine del Sondaggio Ipr Tecnè del 30 gennaio 2018 e diffuso da Porta a Porta.
E lo annunciava il giorno 30 gennaio stesso all’Huffington Post, parlando di scissione. Lui già fuori che divinava il destino di Bersani come fosse un profeta a meno che non avesse avviato la sua rete di rapporti dal sapore irredimibile, com’è suo solito. Cosa più probabile.
E il disegno coinvolgeva anche Sinistra Italiana, se si pensa alla scissione consumata in quel partito e la rapida confluenza della componente Scotto nel marzo in quel periodo a MdP obbligando la componente residua a fare la stessa scelta, dopo il fallimento dell’apparentamento con PaP.
Da tutti questi elementi è chiaro che c’è stato un lavorio per costruire questo schieramento e che Bersani mente spudoratamente. Insomma nei primi mesi del 2018 si cercò di ricostruire una sorta di PdS che si andò poi a schiantare nell’appuntamento elettorale del 4 marzo 2018.
Ci racconti Bersani se ha coraggio di dirlo, dove si è verificata questa espulsione. A meno che la fissazione della data dei congressi e delle primarie, che rappresentano l’ambito più consono per il confronto delle idee, non sia stato interpretato come un atto eversivo.
Ma si sa che la sinistra estrema con le regole e la pratica democratica ha poco a che vedere. Loro che hanno incoronato Grasso imperatore di tutte le galassie di sinistra con una kermesse da circo. E che ora lo hanno abbandonato.
Per fare cosa? Una scissione ovviamente dall’ultima formazione in cui si sono imbarcati per cercare di sopravvivere come apparato politico e cercare di rientrare con qualche candidatura alle Europee nel Pd, che qualche voto a differenza loro, ce l’ha. Caratteristica di una certa sinistra, se ci fate caso, quella di essere unitaria in prossimità delle scadenze elettorali per superare la soglia di sbarramento e poi scindersi subito dopo.
Bersani, ora che il sistema elettorale è proporzionale invoca unità perchè non ha nessuna speranza di arrivare al 4%.
Mentre quando il sistema era parzialmente maggioritario e si poteva conquistare qualche seggio in più come alle politiche del 2018 ci fu una sorta di veto nei confronti di qualsiasi accordo di desistenza col Pd, sbattendo la porta in faccia al tentativo di Fassino, che magari avrebbe fatto guadagnare quanto bastava per impedire la formazione di questa maggioranza di governo. Certo allora i sondaggi li davano al 6% e poi c’era Renzi. E si voleva distruggere quel Pd per poi rientrare da trionfatori. Si era sul set di un film con regista Massimo D’Alema.
Mentre ora Bersani è costretto coattivamente a recitare lo stesso copione antirenziano predisposto dai talk show, per poter sopravvivere ed in questo rientra l’espulsione mai avvenuta. È falsa ma virale e forse accresce l’audience dei talk. Modello fake news grillo-leghiste. Povero Bersa.