Uno sguardo più completo a ciò che ci dicono elezioni, sondaggi e opinioni su questioni nazionali in vista delle Europee di maggio
di Vincenzo Pino
Proviamo a guardare ai sondaggi elettorali in chiave dinamica e sistemica per cercare di trarre delle chiavi di lettura sulla fase politica che attraversiamo. In previsione della importante scadenza elettorale delle Europee di fine maggio non vanno considerati solo i sondaggi, ma anche le recenti elezioni e gli indici di gradimento sul governo e su questioni fondamentali.
Proviamo quindi a leggere le tendenze generali con tre variabili che tengano conto:
Uno. Del giudizio espresso sull’azione di governo come rilevata dagli elettori nei più recenti sondaggi.
Due. Dei risultati elettorali nelle recente elezioni in Abruzzo e Sardegna i cui risultati risentono in quota parte sempre del giudizio sull’azione di governo ed in quota parte dell’offerta politica locale, leadership proposta, numero ed articolazione delle liste a sostegno.
Tre. Delle ultime rilevazioni sulle formazioni politiche, prese singolarmente secondo una dimensione prevalentemente proporzionalistica.
Per quanto riguarda il primo punto, il giudizio dei sondaggisti è unanime (da Tecnè, ad Euromedia, a Swg): il gradimento del governo avrebbe perso mediamente il 15% almeno dei consensi passando dal 58% rilevato tre mesi fa, al 43% odierno.
Pesa in questo precipizio la permanente litigiosità dei contraenti su temi centrali, quali il reddito di cittadinanza (malvisto dal 60% degli italiani) e, recentemente, la Tav che è invece benvista da una percentuale quasi analoga, il 60% degli elettori del paese.
Da qui, e cioè sulle cose che sono apparse decisive agli occhi dell’elettorato italiano, il governo si allontana da quella maggioranza che l’aveva vista godere, secondo alcuni commentatori, della più consistente “luna di miele” rilevata da quando esistono i sondaggi.
Per quanto riguarda invece i risultati elettorali nelle regioni meridionali essi hanno una valenza politica netta di valore nazionale, nonostante i tentativi pentastellati di derubricarli ad episodio locale.
Al contrario di quanto dicono loro, infatti, vi è un netto calo determinato dall’azione di governo. Infatti, è vero che nella massima fase di fulgore pregovernativa gli elettori hanno premiato i candidati presidenti cinque stelle con il 35% in Sicilia nell’ottobre del 2017, per proseguire poi nel Molise col 38, 5% subito dopo il 4 marzo. Ed è anche vero e acclarato che sono precipitati secondo un trend disastroso ad otto mesi dall’insediamento governativo. Il M5S ha raccolto solo il 20% in Abruzzo ed il 10% in Sardegna, mentre il Pd, insieme agli alleati locali, è passato dal 17,5 del Molise al 31% dell’Abruzzo fino al 33% in Sardegna.
Mentre in Abruzzo la caduta verticale dei pentastellati è stata riequilibrata per l’area di governo grazie al 26% della Lega, in Sardegna la somma delle formazioni al governo raccoglie un misero 20%. Qui la Lega, con gli alleati locali. ha registrato un netta vittoria del centrodestra, ma che è dovuta esclusivamente a partiti di centro e centrodestra che a livello nazionale si trovano all’opposizione.
In Sardegna poi si rileva il sostanziale ridimensionamento della Lega per la prima volta dal 4 marzo. Nonostante l’impegno diretto di Salvini e Centinaio, che hanno cercato di politicizzare al massimo questa elezione regionale con la vicenda latte, i leghisti se ne sono tornati con un voto misero e sicuramente al di sotto di ogni aspettativa: il 10% circa.
Dall’insieme di questo excursus si possono leggere meglio i sondaggi nazionali sulle forze politiche e ciò che ci dicono realmente.
Uno. La Lega sembra abbia esaurito il suo percorso ascensionale bloccandosi ormai da diverse settimane attorno al 32%.
Due. Il M5S continua nel suo precipizio portandosi poco sopra la linea del 21% (-11% rispetto al 4 marzo).
Tre. Il Pd riprende forza, recuperando due punti rispetto al voto del 4 Marzo veleggiando ora attorno al 20%.
Certo, ha inciso per il Pd l’esito delle primarie. E’ ormai da un decennio che questo appuntamento democratico ne rivitalizza il consenso presso l’elettorato, recuperando essenzialmente dall’astensionismo. Infatti, in questa settimana la quota di astenuti secondo Swg è passata dal 30, 8 al 29.
E così potremmo cercare in conclusione di tentare una sintesi che tenga conto delle tre variabili che ho cercato di declinare.
Il governo è al 45% del consenso ma le forze politiche che lo reggono sono al 54%, perché?
Perché pesa l’astensione di chi non riesce a vedere un’alternativa di governo e rimane nell’astensione in attesa che maturi, scontento del governo ma senza una precisa indicazione di voto, a mio avviso.Non a caso, come detto, la crescita attuale del Pd è correlata alla caduta dell’astensione.
Chi invece ha votato per le forze di governo lo ha fatto per valori e motivazioni identitarie che si sono rafforzate e consolidate nell’azione di Salvini (razzismo, legittima difesa, regressione sulle libertà e le conquiste civili, in particolare delle donne) mentre invece si sono sbriciolate quelle dei pentastellati fatte di No a tutto, e che invece hanno visto prevalere soluzioni opposte come sul No Tap, No ilva, No Vax e che sul No Tav si trovano ora quasi spaccati a metà. Per cui la soluzione accettabile per molti di loro sarebbe un ridimensionamento dell’opera e non certo il suo blocco.
Da queste linee di ragionamento è possibile ipotizzare che la caduta di consenso dei pentastellati proseguirà a ritmo inarrestabile: non ha retto il reddito di cittadinanza a presidiare il loro terreno nelle recenti elezioni. Si può ipotizzare anche che la Lega subisca una stasi elettorale viste le sue attuali incertezze sul tema Tav e la limitata incidenza di vicende come quella della Diciotti.
Il Pd proseguirà nel recupero elettorale? Solo se riuscirà a rimanere unito al suo interno nella linea di questi ultimi mesi e se saprà allargare il suo spettro di rappresentanza.
Ciò, a mio avviso, non può fatto, alle prossime Europee, attraverso le alleanze come è accaduto recentemente in Sardegna ed Abruzzo, ma rappresentando queste forze al suo interno con un lavoro di allargamento e di rappresentatività. Riproponendo per questa via la sua vocazione maggioritaria, aperta ed inclusiva anche quando si vota col proporzionale.
La scommessa del Pd è tutta lì.
Attrattività ed inclusività per riconquistare voti dall’astensione in primis, dai “civici” di centro e di sinistra alleati nelle elezioni locali, dai penta stellati delusi ed anche dai leghisti che hanno contribuito in maniera decisiva a bloccare lo sviluppo e la crescita nel paese. Tutt’altro che una riproposizione identitaria di “sinistra”.