di Giovanni Rosciglione
Quando è “scoppiato lo scandalo” dell’Onorevole Paolo Ruggirello (qui l’articolo su Repubblica) non mi sorpresi. Come del resto nessuno – dico nessuno – del mondo della politica, delle banche e degli affari può essersi sorpreso.
Certo i giornali debbono vendere. E nessuna occasione bisogna sprecare per cercare di tirarsi fuori dal fango della politica siciliana e squittire come una verginella indifesa a protezione di false verginità da plastica rigenerativa.
Quando l’ex Consigliere Regionale passò al Gruppo del PD, mi ricordo bene di avere espresso le mie riserve a un esponente del partito che, alzando le spalle, sussurrò, quasi con rassegnazione: “la politica è questa, purtroppo…”.
E Ruggirello entrò nella maggioranza che avrebbe sostenuto per 5 anni l’ineffabile Giunta Crocetta. Un’esperienza che, pur non rientrando nella storia della Politica Democratica, è diventata un capitolo basilare nel rilancio dell’avanspettacolo.
Allora, torniamo indietro nel tempo.
Con quel nome e quella “casata” mi ero incontrato molti anni fa: nel 1979. Avevo 47 anni ed ero Segretario della FIDAC/CGIL, sindacato del bancari ed esattoriali.
Per capirci, era l’anno della Thatcher in Inghilterra, di Cossiga e dell’attacco massone alla Banca d’Italia di Baffi. L’era di Bettino Craxi. Le Brigate Rosse scorrazzavano e il Milan vinceva lo scudetto. Mennea e i suoi duecento. Khomeini e la guerra del petrolio. Achille Occhetto preparava la “cosa”. Pier Santi Mattarella era Presidente della Regione. Sugli Schermi Alien e il Palermo giocava la finale della Coppa Italia, la mafia uccideva d’estate, in autunno, in inverno e in primavera. Niente Smart e molto porno.
La Banca Industriale di Trapani di proprietà di Giuseppe Ruggirello, padre di Paolo Ruggirello, si rifiutava di aprire le trattative per il Contratto Integrativo e negava il diritto all’Assemblea d’Azienda. A malincuore, grazie alla richiesta interna di un dipendente che aveva la tessera CGIL, dovette infine concederla.
Mi recai a Trapani. Un nerboruto commesso mi impedì l’entrata sino a quando il “Capo” non la consentì. Feci un’Assemblea con pochissimi lavoratori e presentammo la bozza di contratto, ricordo anche a nome di Cisl e Uil.
Ritornato a Palermo, come di norma, rilasciai una dichiarazione alla Stampa in cui si diceva – alla lettera – che “quella Banca sfruttava i lavoratori, non applicando in parte le garanzie del Contratto Nazionale e che il Sindacato auspicava che si rientrasse nei binari della legalità riguardo al trattamento dei suoi dipendenti”.
Eravamo a fine maggio. E a fine maggio fu notificato un avviso di imputazione per diffamazione a mezzo stampa nei confronti di Giuseppe Ruggirello, Presidente della Banca Industriale di Trapani. Lì per lì la presi sottogamba. Poi notai che non aveva denunciato solo me, ma anche gli altri componenti della Segreteria.
Io sarei voluto andare a giudizio. Gli altri, pur dandomi ragione, erano perplessi. Ruggirello aveva preso uno degli avvocati palermitani più noti e influenti.
Io non riuscii a trovare un avvocato che mi difendesse nel processo. Tutti mi consigliavano di ritrattare, affermando che non c’era da parte nostra volontà di offendere e dando atto della buona fama della Banca e dei suoi organi. Così da fare ritirare la denuncia.
Nessun avvocato. Neanche quelli del Sindacato e del Partito, per essere chiaro. Avevo molti amici avvocati, ma tutti mi consigliavano di transigere.
I mesi passavano, capii l’aria che tirava e sottoscrissi una dichiarazione di chiarimento soddisfacente per l’accusa e redatta da un noto Avvocato del Popolo. Ancora non c’era la Convenzione di Schengen e mi avrebbero bloccato il Passaporto per un viaggio in Inghilterra che avevo già prenotato.
Brancaccio rispetto a Trapani era come Mayfair a Londra. E lo è ancora.
Ho ritrovato quei documenti, e la memoria è così confortata su quella corrispondenza. Ricordando come quel piccolo incidente presentava già le caratteristiche più tipiche della Storia Contemporanea della nostra Isola. Io feci una delle mie prime esperienze “calde”. Un’altra fu la mia trattativa contrattuale con la Esattoria dei Salvo & Cambria (ma per oggi vi risparmio). Quarant’anni sono trascorsi. Già allora, insieme ai colleghi del indacato, ci rendevamo conto dell’opacità nelle piccole banche siciliane e la loro vicinanza ad ambienti chiacchierati.
Ricordo che la legge Amato che recepiva le direttive europee sulla privatizzazione delle banche fu recepita dopo più di un anno dalla Regione Sicilia solo dopo aver “regionalizzato” tutte le esattorie private. Il ciclo bancario si chiuse con la vergognosa svendita dell’intero Sistema bancario siciliano a Geronzi (poche lire). Erano i tempi di Fazio e dei furbetti dei quartierini. Tutto il Patrimonio di Banco di Sicilia è tutelato dallo … Unesco. E nessuno ha mai detto una parola sull’argomento.
Buffe corrispondenze della memoria.
Ci scandalizziamo ora? C’è qualcuno all’Ars che non conosce da dove provengono molte cose della politica siciliana?