di Vincenzo Pino
Strano andamento quello delle primarie del Pd. Erano partite con la pretesa di cancellare quattro anni di governo e di storia politica. Per Zingaretti Renzi era il passato, la sconfitta, lui che in Lazio aveva perso in maniera ben più rovinosa e si presentava beffardamente ora col volto della vittoria.
Tutto gli era sembrato facile, era bastato imputare il rovinoso esito delle elezioni del 4 marzo a Renzi, indicarlo come il capro espiatorio, e nascondere che tra le principali cause della stessa vi era stata una scissione opportunista ed immotivata che aveva squassato il campo di centro sinistra.
Per cui la chiave di lettura della sua mozione era quella di recuperare i fuoriusciti. I quali non aspettano altro, visto che il 4 marzo sono stati cancellati dai radar della politica, e riprendere la sceneggiatura dal punto in cui l’aveva lasciata Bersani quando corteggiava pietosamente i grillini.
Anche la scelta di affidare la sua campagna per le primarie a Piazza Grande ed a uno di Sel, senza simbolo di Partito, aveva questo chiaro orientamento. Questo era il sapore di novità che portava la sua mozione, arricchita da banalità degne da bagaglino, l’umiltà, il noi, l’arroganza di Renzi.
E il popolo Pd? Quello che si era battuto per il Sì al referendum, quello che aveva dato il 70% due anni prima a Renzi, quello che aveva conquistato un eroico 18,7% alle politiche? Nulla, un accidente momentaneo della storia, per lui.
Poi c’era Martina. Che sì, l’esperienza di governo era importante, ma dovevamo chiedere scusa al popolo italiano non si sa per quale torto fatto.
Questo era lo scenario di avvio delle primarie, quando irruppero Giachetti a Ascani, che cominciarono a snocciolare un diverso racconto degli avvenimenti.
Difficilissimo nella fase di avvio con la sceneggiatura già scritta dal duo Martina-Zingaretti, raccontata anche nell’esito finale da tutti i media, giornali, talk show. Un fastidioso inconveniente che si doveva schiantare al primo appuntamento, alle convenzioni dei circoli, sotto il 5% e magari superati da Boccia, come da sondaggi vari.
E invece no, quel popolo Pd c’era. Senza parlamentari a sostegno. E quindi senza la principale risorsa di consenso ed economica a sostegno. Eppure si organizzò senza riferimento territoriale ed organizzativo solido quali i circoli. Si mosse dapprima con l’unico strumento per fare sentire la propria voce: la rete.
Si re-intrecciarono contatti, le aggregazioni, le affinità. Non si voleva insomma che l’impegno degli anni passati potesse essere mortificato da questo accordo dall’alto realizzato da parlamentari ed ex ministri.
E fu l’11% nella votazione dei circoli. E spuntarono voti senza volto a rafforzare il successo mentre quelli degli altri schieramenti erano per la gran parte irreggimentati nel sistema correntizio consolidato.
Era quella percentuale fatta da elettori Pd delusi che non volevano più impegnarsi, che ritenevano fosse tutto perduto che non avrebbero più votato alle primarie e forse neanche più per il Pd e che cercavano nuovi interlocutori rispetto alla loro aspirazione liberal-democratica, a partire da Calenda.
Ed infine ritornò sulla scena Renzi con il suo libro. A girare l’Italia. A mietere successi sulla narrazione vera di quanto avvenuto in questi anni. Ridando coraggio al popolo del 41% alle Europee e al Sì referendario e del 70% alle ultime primarie.
Ammutolendo e privando di argomenti Zingaretti, che ora dice no, “Renzi è una risorsa importante e che lui non aveva pensato mai ad un accordo coi grillini”. Mentre Smeriglio riempiva i giornali del contrario, no che lui è un riformista moderno. Mentre Bettini, uno dei suoi collaboratori più stretti al Parlamento Europeo bocciava la condanna di Maduro.
Ed ora si va al 3 marzo in una situazione in cui dopo che il confronto tardivo tra i candidati ha dimostrato quanto fossero convincenti e competitivi gli argomenti di Giachetti, tutto è possibile. E dopo che il quadro politico ci dice che i Cinque Stelle sono in rotta, grazie alla strenua opposizione di Renzi ed il rifiuto a qualsiasi accordo con loro.
Un mese fa quelli come me venivano definiti gli ultimi dei renziani, come dire una razza in via di estinzione e qualche zingarettiano aveva l’atteggiamento del tipo “lasciateci lavorare per fare la politica vera quella delle alleanze senza principi quella che permette di dire sempre abbiamo vinto anche se abbiamo perso”. La politica dell’immarcescibile D’Alema quello che ha portato il suo schieramento al disastro vicenda di cui ora far perdere le tracce. Come? Con il mimetizzarsi di nuovo tra i Pd, dove Zingaretti lo aspettava a braccia aperte dopo aver liquidato il “bulletto fiorentino”.
Ma si erano fatti i conti senza l’oste.
Buon voto il 3 marzo.