di Maria Teresa de Sanctis
Quando si assegnano dei premi, accanto alla contentezza dei premiati c’è sempre la delusione di chi aveva delle aspettative che invece rimangono disattese. Ma così va la vita, bisogna aver pazienza e confidare nella prossima opportunità.
Ne sa qualcosa Glenn Close rimasta senza alcuna statuetta anche quest’anno, pur essendo giunta alla sua settima nomination e avendo conseguito il Golden Globe per la sua ottima interpretazione nel film “The Wife – Vivere nell’ombra” di Björn Runge.
Infatti, quale miglior attrice protagonista, le è stata preferita Olivia Colman, anche lei ottima attrice, per la sua interpretazione nel film “La favorita” di Yorgos Lanthimos.
Eppure le assegnazioni dei premi Oscar 2019 hanno avuto un sapore speciale, hanno lasciato a chi scrive l’idea che ci si trovi davanti ad una sorta di rinnovamento, di maggiore attenzione verso le istanze del mondo.
Quasi a voler rivendicare per l’Oscar, che rimane nonostante tutto il premio cinematografico più prestigioso e antico al mondo, il diritto di potere essere considerato anche un premio che mira al valore dei contenuti e non solo a quello del botteghino. Pensiamo all’Oscar per il migliore film andato all’ottimo “Green book”, il racconto di un’amicizia fra un italoamericano della Little Italy e un afroamericano.
Una commedia che, fra una risata e l’altra, tratta di temi quanto mai attuali e scottanti quali la discriminazione etnica e razziale. E sempre in “Green book”, troviamo fra gli intepreti del film l’ottimo attore musulmano Mahershala Ali, insignito dell’Oscar quale miglior attore non protagonista, premio da lui già ricevuto nel 2017 per il bellissimo “Moonlight”.
Certo è di prestigio il premio Oscar al miglior film, ma sicuramente non lo è da meno quello alla migliore regia, affiancato inoltre dall’Oscar alla migliore fotografia e, soprattutto, dall’Oscar al miglior film straniero. Stiamo parlando delle tre statuette andate al bellissimo “Roma” di Alfonso Cuarón, l’ennesimo regista messicano premiato dall’Academy Award.
Come a dire che non c’è muro che tenga di fronte alla maestria dei registi messicani che, è da ricordare, per la quinta volta in sei anni hanno ottenuto il premio Oscar alla regia. Nel 2014 Alfonso Cuarón con “Gravity”, nel 2015 Alejandro González Iñárritu con “Birdman” e di nuovo lo stesso regista nel 2016 con “The Revenant – Redivivo”, nel 2018 Guillermo del Toro con “La forma dell’acqua – The Shape of Water “, e adesso nuovamente Alfonso Cuarón con “Roma”.
E quest’ultimo film, raccontando di un’umanità dolente dalle enormi differenze sociali, sollecita un’attenzione verso gli ultimi, quale oggi come non mai se ne sente la necessità. Inoltre, la partecipazione di Netflix alla produzione di “Roma”, indica peraltro come ancora di più sia messa in discussione per il futuro l’egemonia di Hollywood nel governare il mondo del cinema, e non solo quello americano.
Continuando con gli Oscar, il premio al miglior attore protagonista è andato al bravo Rami Malek, qui al suo primo Oscar, quale ottimo interprete nell’acclamatissimo “Bohemian Rhapsody”, film che, al di là di ogni polemica sulla veridicità delle vicende biografiche raccontate, fa arrivare dritto al cuore il fremito della grande passione di un’artista.
Ancora, l’Oscar alla migliore attrice non protagonista è andato a Regina King, per “Se la strada potesse parlare” (“If Beale Street Could Talk”) di Barry Jenkins, ottimo film anche questo.
Una storia, tratta dall’omonimo romanzo di James Baldwin, che racconta poeticamente di una grande ingiustizia a sfondo razziale. Poi abbiamo per due affermati artisti, due primi premi Oscar nella loro carriera: Lady Gaga premiata con l’Oscar per la miglior canzone e Spike Lee per la sceneggiatura non originale di “BlacKkKlansman” .
Un’altra particolarità di quest’anno è che fra i premiati ci sia anche un film della Marvel, “Black Panther” di Ryan Coogler, film che con fantasie tecnologiche, talvolta trasbordanti, riesce a trasmettere l’amore per quella parte di mondo che è l’Africa centro orientale.
Il film ha fatto incetta di premi: per costumi, scenografia e colonna sonora originale, tutti premi Oscar mai vinti da un film dei Marvel Studios.
Concludendo, possiamo dire che gli illustri membri dell’Academy awards si siano accorti che la politica nei contenuti può anche fare cassetta. Ma poco importa. Quel che conta è che delle cose se ne parli, che la gente possa conoscere, anche attraverso gli occhi degli altri, anche attraverso la finzione dei super eroi della Marvel. È pur sempre un modo per offrire porte e finestre sul mondo allo sguardo di tanti che, altrimenti, potrebbero rimanere all’oscuro di tante cose.
Inoltre, se riusciamo a comunicare col sorriso e con la leggerezza, i messaggi arrivano diritti al cuore senza alcun problema. Si pensi al “Il grande dittatore” di Charlie Chaplin, in questo un esempio insuperato, e insuperabile crediamo.