Cinque anni con una strategia ben precisa che ha dato i suoi frutti per il rilancio dello Stabile di Palermo, non solo sul piano dei numeri ma anche dal punto di vista artistico e culturale
di Gabriele Bonafede
A febbraio inoltrato non è ancora stato nominato un nuovo direttore del Biondo. Chiunque sarà, erediterà una situazione sensibilmente migliorata rispetto a cinque anni fa, quando Roberto Alajmo prese le redini del teatro stabile di Palermo.
Del bilancio economico ne abbiamo parlato (qui): è un successo lampante per lo meno sul piano numerico. Ma il percorso espresso nella conduzione di Roberto Alajmo per il Biondo va analizzato anche, e soprattutto, sul piano culturale. D’altronde, una forte progressione di spettatori, abbonati e introiti dalle vendite degli spettacoli è strettamente legata al successo dell’offerta culturale realizzata.
Ma è anche vero che un teatro stabile ha il ruolo di indirizzare determinate scelte e quindi non portare in scena solo ciò che è facile vendere, ma affrontare anche sfide che potrebbero essere inizialmente lette e capite da un pubblico non necessariamente numeroso.
Mentre la matematica non è un’opinione, è chiaro che l’apprezzamento di critica e pubblico ha un certo grado di convincimento o, per dirla terra-terra, di “gusto”. È dunque ovvio che qui voglio esprimere le mie opinioni, in quanto spettatore e commentatore, spesso entusiasta, di un buon numero di spettacoli.
A mio modo di vedere, gli obiettivi raggiunti sul piano numerico da Alajmo sono frutto di una strategia ben precisa, magari non enunciata in un documento strategico a medio-lungo termine, ma visibile nel percorso fatto.
Si possono individuare almeno cinque “pilastri” del progetto implicito messo in essere dal direttore uscente del Biondo. Il primo dei quali fu enunciato dallo stesso Alajmo nel suo blog personale a pochi giorni dalla nomina a direttore. Aveva un titolo emblematico: “Allergia alla polvere”.
Togliere la polvere poteva essere percepita come una delle enunciazioni a effetto di uno scrittore emergente chiamato a dirigere un teatro stabile in difficoltà. Ma non è stato così: Alajmo ha realmente “svecchiato” il Biondo con programmazioni annuali che hanno reso più contemporanea e persino futuribile la produzione e l’ospitalità degli spettacoli.
Si deve anche sapere che le stagioni a guida Alajmo sono state in realtà quattro, perché la prima era già stata decisa dalla precedente gestione. Tuttavia, anche nella prima stagione, Alajmo riuscì a inserire almeno tre spettacoli dalla vivida impostazione innovativa: Lucio (di Scaldati a regia Franco Maresco), L’Aida stupendamente provocatoria nella realizzazione di Roberta Torre con un eccellente (e temporaneo) rientro da Londra di Ernesto Tomasini e Lampedusa Beach di Lina Prosa. Già in queste tre esperienze la “polvere” di un teatro fermo su assiomi “classici” iniziava ad essere spazzata via.
Non a caso, l’Aida portò un pubblico molto più giovane ed entusiasta al Biondo. Ciò faceva ben sperare per il primo e più pervasivo asse strategico del nuovo corso di Alajmo. Le altre quattro stagioni hanno confermato, sia pure con qualche insuccesso, il trend di fondo votato giustamente allo svecchiamento.
Le quattro stagioni fanno pensare in qualche modo a Vivaldi: ogni “stagione” con le sue caratteristiche peculiari e artisticamente valide in un contesto praticamente unitario. Tanto che, oltre a rinnovare persino l’approccio grafico e comunicativo del Biondo, sono arrivate anche stagioni con titoli-cartellone ben precisi. Nelle ultime due annate-Alajmo, i titoli assegnati all’intera stagione si sono rivelati particolarmente riusciti e centrati sui tempi contemporanei e futuri: “Sovrani e Impostori” (stagione 2017-2018) e “[De]generazioni” (stagione 2018-2019, ancora in corso).
Ritengo che il secondo pilastro della strategia di Alajmo nel rilancio del Biondo va ricercato nell’organizzazione della scuola di Emma Dante. Non tutti sono d’accordo con i metodi e la linea stilistica dell’artista palermitana. Ma è indubbio che siano ambedue chiare e intellegibili. Insomma, una scuola non solo nel senso di luogo dell’insegnamento, ma anche di un metodo, un approccio.
“Due generazioni di allievi sono stati formati – conferma lo stesso Alajmo – e adesso a Spoleto ci sarà un altro banco di prova per la qualità della loro formazione e per i successi, presenti e futuri. Vedremo come andrà”.
È abbastanza chiaro, però, che si tratta di giovani che sono stati formati e lanciati in tutto e per tutto dal Teatro Biondo di Palermo con un indirizzo che è ben visibile, per lo meno a chi conosce il teatro. E che, fin qui, abbiano ricevuto un’attenzione degna di nota sul piano nazionale.
Il terzo pilastro è stato, a mio modo di vedere, la ricerca di una presenza del Biondo in Italia e all’estero, con la vendita degli spettacoli prodotti a Palermo. Prima di Alajmo alla voce “entrate per la vendita degli spettacoli” c’era la cifra “zero” o giù di lì. Da alcuni anni, invece, sono molti gli spettacoli del Biondo che sono andati in giro per l’Italia e anche all’estero: Cina, Sudamerica, Francia. Svizzera, Belgio.
Non è possibile vendere spettacoli in giro per il mondo senza una riconosciuta qualità culturale o per lo meno un certo livello d’attrattiva. Su questo piano è dunque superfluo aggiungere altro, perché chi ha acquistato gli spettacoli ha una capacità di valutazione svariate volte più grande di quella del sottoscritto.
Credo che il quarto “pilastro” sia il più importante: la valorizzazione dell’humus di professionalità e artisti palermitani e siciliani, e anche di ciò che producono i numerosi teatri “medi e piccoli” di Palermo. Ciò che è stato chiamato, forse in maniera riduttiva, “apertura alla città“.
Alajmo tiene a precisare come alcuni dei talenti palermitani (e qui cito, tra gli altri, Emma Dante, Davide Enia e Vincenzo Pirrotta), abbiano conosciuto un ulteriore apprezzamento sui palcoscenici italiani ed esteri proprio nel periodo dei loro spettacoli al Teatro Biondo.
In realtà, i nomi sono tanti e sarebbe difficile enunciarli tutti, anche se almeno un paio vanno ricordati per il loro ritorno al Biondo dopo decenni, come Luigi Lo Cascio, Mario Pupella, Paride Benassai lo stesso Ernesto Tomasini. Ma ciò che è più importante, è che non è solo sui nomi dei palermitani più conosciuti che si è costruito un percorso, ma anche e soprattutto valorizzando artisti e professionalità locali.
In cinque anni, a “giro” di stagione, numerosi e validi artisti operanti a Palermo hanno avuto tutti o quasi l’opportunità di andare sul palcoscenico del Biondo. Se da un lato non tutte le potenzialità sono state espresse, con molti artisti e teatri che non hanno avuto quella visibilità che avrebbero meritato, è anche vero che ci sono stati due effetti d’impatto generale positivo nel sistema culturale di Palermo.
Il primo è che il Biondo, con le sue pur limitate possibilità, ha permesso un effetto-traino per le numerose potenzialità palermitane. Il secondo è che lo stesso teatro Biondo si è giovato dell’importante humus culturale legato al teatro, alla letteratura, al cinema e a molto altro, presente in città e anche in Sicilia.
Il quinto pilastro sul quale credo si sia basato il successo numerico e culturale del Biondo è la ricerca delle sperimentazioni e delle novità assolute, spesso partendo dalla Sala Strehler. Su questo piano il numero di spettacoli di grande interesse è veramente notevole.
Molti sono andati in giro, altri si sono fermati a Palermo, ma tutti hanno contribuito a volte in maniera esaltante a lanciare e formare nuove idee, nuovi approcci, nuovi giovani, nuove caratteristiche del teatro italiano e non solo palermitano. Tra le sfide in questo senso, mi piace ricordare su tutte l’esperienza dissacrante di “Tre di coppie” di Franco Maresco su testi particolarissimi di Scaldati. Se non è stato il più “riuscito” è stato sicuramente lo spettacolo tra i più dirompenti e dissacranti tra le numerose sperimentazioni innovative proposte dal Biondo in questi anni.
Tra l’altro, proprio su Scaldati, c’è stata una ricerca che ha evidenziato le grandi espressioni artistiche del poeta siciliano anche nella visione non esclusivamente palermitana. Ma sarebbe ingiusto fermarsi al filone di spettacoli sui testi di Scaldati preso da solo e, inevitabilmente, in maniera non completa.
Le esperienze sul palcoscenico del Biondo non sarebbero state utili e culturalmente valide, se non ci fossero state anche le rivisitazioni e le riproposizioni di molti classici del teatro e, insieme, il dialogo continuo e fruttuoso con grandi personaggi del teatro italiano presenti nelle stagioni del Biondo di Palermo in questi anni.
Il dialogo, insomma, non è stato “univoco” tra qui e altrove, ma decisamente più “biunivoco”, oltre che plurale. Ad esempio, nel più recente spettacolo di Roberto Andò c’è stata in qualche modo la proposizione di una “nazionale palermitana del teatro” (con annesso “Commissario Tecnico”) che si è misurata con successo con il dibattito teatrale in Italia. È incontestabile.
Quale eredità e quali gli spettacoli che hanno segnato le “quattro stagioni”? Ovvero, cosa riserva il futuro?
Inizialmente volevo porre le due domande allo stesso Alajmo. Ma, a conti fatti, credo debbano essere poste più che ad Alajmo al CdA che sceglierà il nuovo direttore. Va da sé, però, che almeno alla prima è possibile rispondere con la propria personale opinione.
A mio modo di vedere, l’eredità più importante che lascia Alajmo è quella di accettare la sfida di un dialogo proficuo sul piano nazionale avvalendosi dell’humus locale, non limitandosi agli artisti già riconosciuti sul piano nazionale e internazionale.
Anzi, continuando in quelle sfide, a volte vinte e a volte no, che sono comunque momento di discussione, crescita e affermazione. E quindi continuare a costruire un dibattito nel quale il Teatro Biondo, il teatro palermitano e della Sicilia, rimanga a pieno titolo quale elemento di contributo essenziale, fondamentale e innovativo.
Per quanto non sia possibile in poche righe esprimere compiutamente ciò che personalmente intendo quale “eredità culturale”, va da sé che la nuova direzione debba tenere presente ciò che è stato costruito. E dunque lanciare una nuova fase che abbia, per lo meno, una strategia nel medio-lungo termine sulla base dei successi della precedente strategia. Sia essa implicita o esplicita.
In copertina, il palcoscenico del Biondo alla fine del concerto di Alessio Bondì. Foto di Francesco Anzelmo.