di Gabriele Bonafede
Mentre il Teatro Biondo di Palermo si dibatte in una crisi manageriale che non ha ancora prodotto un nuovo direttore, restano una serie di successi realizzati nella gestione Alajmo. Sono tante le produzioni del Biondo di questi anni che hanno avuto la capacità di imporsi anche in altri palcoscenici, in teatri nazionali e persino all’estero.
Tra tanti, recentemente abbiamo potuto apprezzare “Chi vive giace”, vero e proprio lascito culturale dello stesso Alajmo. Ma nei giorni scorsi un’altra pièce dimostra di avere enormi potenzialità. È “Il giardino della memoria”, tratto dall’omonimo libro di Martino Lo Cascio e messo in scena da Maurizio Spicuzza alla sala Strehler del Biondo dal 31 gennaio al 10 febbraio.
Spicuzza è probabilmente il docente di teatro più di amato dai suoi allievi a Palermo. Tra i suoi alunni sono molti gli attori e le attrici che hanno raggiunto il successo a scala nazionale: da Miriam Dalmazio a Roberta Azzarone, da Davide Cirri a Fabrizio Falco. E molti altri, più o meno conosciuti dal grande pubblico.
Ed è proprio Fabrizio Falco che si mette ancora una volta in luce con Il giardino della memoria. Lo spettacolo fa rivivere senza sconti l’orrenda tortura subita per più di due anni dal piccolo Giuseppe Di Matteo. Si tratta della storia di un infanticidio orripilante nelle lunghe modalità, intenzioni, reiterazioni e conclusioni. Tutte disponibili negli atti dei relativi processi, dove l’agghiacciante freddezza dei carnefici è riproposta sul palcoscenico al cospetto del pubblico insieme all’infantile e inutile speranza della vittima e della sua famiglia, compresa l’angoscia del padre ormai collaboratore di giustizia.
Una storia nota, che ha già fatto il giro del mondo. Ma forse mai come nello spettacolo di Spicuzza e Falco si è arrivati a comunicare in maniera sconvolgente le implicazioni riguardanti la mostruosa ferocia criminale dei noti assassini. Quelli che, ancora oggi, la stampa italiana definisce “boss”, “strateghi” o altro, con colpevole senso devozionale. E che invece vengono rappresentati qui per quello che sono: miserabili, bassi e bestiali criminali totalmente privi di un minimo di umanità e di dignità. Profondamente stupidi quanto malvagi. Perché la malvagità è sempre stupida, idiota, superficiale, scurrile, tanto bestiale quanto inutile.
Iene, senza alcuna connotazione umana, sono Brusca, Chiodo, Monticciolo, Messina Denaro, Graviano, Grigoli, Spatuzza e altri. I quali sembrano non rendersi conto, non solo della loro ferocia, ma della lunga tortura imposta al ragazzino.
Lasciato per 779 giorni in nascondigli di fortuna, privo di luce, di possibilità di muoversi oltre i pochi metri quadrati di stanze buie e malsane, il piccolo Di Matteo vive una tragedia semplicemente raccapricciante, prima dell’inevitabile e ancora più raccapricciante epilogo.
Lo spettacolo fa rivivere in meno di un’ora le 18700 ore, ovvero 1milione e 220mila minuti, di mostruosa agonia del piccolo Di Matteo. Le fa rivivere minuto per minuto. Utilizzando una tecnica di sovrapposizione tra memoria e presente, tra realtà e immaginazione, che permette di condensare l’orrore. Trasponendo la ferocia e la candida ammissione della tortura imposta da quelle bestie che vanno sotto il nome di mafiosi. Lasciando lo spettatore esterrefatto, “senza parole”, come in molti abbiamo dovuto ammettere alla fine.
Questa vergogna tutta siciliana e italiana è ancora tra noi. Lo spettacolo riesce a materializzarla, smaterializzarla nelle coscienze e di nuovo a materializzarla. Riconducendoci alle torture oggi imposte a milioni di bambini, profughi nel mondo, oppure catturati e sequestrati dalle più efferate dittature che abitano questo pianeta. Facendoci rendere conto di quanto questa vicenda non faccia parte del passato, ma del presente.
Chiave emozionale della pièce di Spicuzza è l’architettura del racconto teatrale: spettacolo vivente, nella vera accezione del termine. Si giova di un Fabrizio Falco immenso e di un piccolo attore, sempre muto, che costituisce memoria reale portata in scena. Falco è infatti affiancato da Davide Parisi, attore in pectore di soli tredici anni, anche lui allievo di Spicuzza.
Il suo ruolo, nitidamente proposto in scena con una consapevolezza che ha dello sbalorditivo, è quello del piccolo Di Matteo ragazzino. Ma, più eminentemente, è quello più generale di un’infanzia e una adolescenza perduta per qualsiasi ragazzino del mondo. Per qualsiasi bambino catturato dalla bestialità delle iene feroci che popolano questo sciagurato pianeta scivolato nella malvagità e nell’indifferenza.
Senza parole, è vero. Perché le parole non potrebbero mai descrivere quello che descrive il teatro quando è Teatro con la T maiuscola.
Questo è un prodotto del Biondo che andrebbe portato in tutta Italia e in tutta Europa, se non in tutto il mondo. A testimoniare come la propria coscienza, la propria anima, non può esistere né essere perdonata senza una dura, potente, complessa e decisiva rivisitazione delle proprie colpe epocali. E questo vale per credenti o non credenti.
Non a caso, Spicuzza utilizza alcune frasi di Victor Hugo per completare il percorso della rappresentazione. Il rapporto con la morte, con i significati dell’esistenza, del qui e altrove, sono così messi in luce in una prospettiva che va ben al di là del mero racconto di una cronaca nera, nerissima. Una prospettiva che oltre ad andare ben al di là dei confini siciliani e nazionali, porta a riflettere anche su quanto sia presente l’aldilà, sia esso terreno o altro. L’aldilà storico, non solo spirituale.
Così che il fumo del corpicino sciolto nell’acido della ferocia, diventi vero e proprio spirito di riflessione e comprensione sulle più atroci bassezze del genere umano. E magari, possa riportare tutti in un percorso di speranza terrena. Almeno terrena.
Il giardino della memoria
di Martino Lo Cascio
regia Maurizio Spicuzza
con Fabrizio Falco
e col piccolo Davide Parisi
scene Luca Mannino
musiche Angelo Vitaliano
Produzione Teatro Biondo Palermo