di Vincenzo Pino
È cambiato completamente il quadro politico su cui si era costruito questo congresso Pd. Tutto nel giro di alcuni mesi.
Alla base di questa tornata congressuale c’era stata la pretesa di archiviare rapidamente un pezzo di storia: quello del governo dell’ultima legislatura e del riformismo connesso, senza aver minimamente indicato una qualsiasi strategia di rilancio o di rinnovamento del Pd stesso.
Solo vaghi e generici accenni alla necessità di aperture per realizzare uno spettro di alleanze più vaste, per recuperare la sconfitta del 4 marzo 2018.
Insomma, l’abbandono della vocazione maggioritaria del Pd. In un riflusso in una indistinta sinistra in cui potessero rientrare a piano titolo gli scissionisti con una proposta di alleanza coi Cinque Stelle. Sono strategie valide per ritornare ad essere di nuovo protagonisti della battaglia politica ed elettorale contro la destra e i populismi bufalari?
Se ci fate caso, l’alleanza con i Cinque Stelle (oggi in crollo verticale) e il trinceramento a sinistra è esattamente la linea che era stata alla base della scissione. Propagata in ogni dove durante la campagna elettorale, è concisa con il disastro elettorale di LeU. Cancellati dall’elettorato, altro che sconfitta Pd.
L’accentuazione post 4 marzo è stata tutta incentrata sulla sconfitta del Pd, sulla inconsistenza della sua opposizione, sul suo progressivo decadimento e marginalità. Ed era paradossale che questa storia la raccontassero coloro che invece sono stati cancellati dal consenso, gli scappati di casa dal Pd che, dopo aver deragliato con LeU, non sanno cosa fare da “vecchi”.
Si è preferito mortificare, al contrario, quelli che avevano combattuto i Cinque Stelle. Si è preteso di annullare un percorso storico che fino a due anni fa aveva dato il 70% ad una prospettiva riformistica.
Non si è certo riflettuto sul fatto che la sconfitta elettorale del 4 marzo si inscriveva in una crisi generale della sinistra in Europa e nel mondo e che forse in Italia sarebbe stata di gran lunga attenuata se non vi fosse stata la scissione ed il perenne bombardamento da fuoco amico.
Nessuno fino alla presentazione della mozione di Giachetti aveva parlato di tutto questo durante il percorso del congresso PD.
Il trantran prevedeva che il congresso dovesse essere solo un cambio di consegne ai due competitors Martina e Zingaretti. Tra i due, l’ultimo diceva che si era sbagliato tutto e l’altro che si doveva chiedere scusa al Paese.
Sembrava di sentire l’inflazionata e stupida frase grillesca “e allora il Pd”? Ciò che era stato fatto dai suoi militanti e dal suo popolo non contava nulla, il suo orgoglio accantonato, la sua capacità di reazione indebolita. Dovevano subire soltanto il cambio di manovratore e di rotta.
Le motivazioni e le parole d’ordine? Il noi al posto dell’io, la pretesa umiltà al posto dell’arroganza. Ma solo di facciata. Insomma le motivazioni che un bambino adduce quando ha fatto una marachella troppo pesante. E noi, popolo del Pd, l’avevamo “fatta pesante” nel sostenere la linea politica che era uscita nel 2017 a larga maggioranza.
Dovevamo essere flagellati ed umiliati. Proprio da quelli che da questa linea politica sono stati premiati con l’assunzione di responsabilità prestigiose di governo, di cui sembra si siano scordati, se ora condividono questo giudizio. Insomma i ministri per caso. Questo congresso doveva essere la riaffermazione di un establishment inamovibile.
Ed invece… si sta rivelando qualcosa di diverso.
Il richiamo all’unità ipocrita che viene fatto in questa fase è per mettere la sordina al fallimento di questo percorso e per evitare che si approfondiscano i nodi veri del Pd.
Quello di un partito chiuso, arroccato e conservatore. Che per andare aventi deve necessariamente ancorarsi ad un passato più tranquillizzante. Ed allora tornare al 2013. Cancellare questi cinque anni di impegno, di lotta e di realizzazioni. per tornare alla subalternità tranquillizzante e manovriera.
Ebbene, non funziona così. Lo sappiano i manovratori. Il congresso ha cominciato a vivere da quando questa rimozione forzata della memoria è stata impedita.
Solo così si sono liberate energie, orgoglio, entusiasmi. Quelle cose che hanno trascinato la mozione Ascani-Giachetti ad un successo insperato nelle votazioni ai circoli e che, state pur certi, sarà di gran lunga più forte ai gazebi per le vere primarie.
Senza questa componente “forte” che rappresenta il voto di opinione del Pd non si va da nessuna parte, se non al dissolvimento.