Accordo del governo respinto a Londra. La premier conservatrice umiliata. Mozione di sfiducia dai laburisti
di Gabriele Bonafede
È un voto storico in una data storica quello di oggi, 15 gennaio 2019, al Parlamento del Regno Unito. Dopo la schiacciante bocciatura alla camera dei Lord, anche la Camera dei Comuni boccia in modo netto l’accordo faticosamente messo in piedi dalla Premier, Thersa May, per la Brexit. La sconfitta è persino schiacciante: 432 No e solo 202 Sì.
La May ha avuto anche la faccia tosta di annunciare un nuovo giro di consultazioni. Ma il, non amato, leader dei Laburisti, Corbyn, ha immediatamente chiesto un voto di sfiducia al governo May per domani.
Se la sfiducia vincesse, non ci sarebbe più spazio e tempo per la May e l’unica prospettiva sarebbe quella di andare alle urne con annesso Referendum per dire definitivamente No alla Brexit.
Se è vero che la maggioranza non si forma necessariamente su una piattaforma comune, quella del rigettare la Brexit, è anche chiaro che il clima nel Regno Unito è cambiato da tempo. E sta cambiando sempre di più. Inevitabile che cambi, quando si avvicinano le catastrofi provocate dalle follie sovraniste: la Brexit, ad esempio.
Il Paese è in fibrillazione da mesi e ha raggiunto un climax nelle ultime settimane, in questi giorni. Due anni e mezzo sono passati da quando il “Leave”, lasciare l’UE, vinse con un margine limitato il catastrofico referendum del giugno 2016. I fautori della Brexit vinsero quel referendum a suon di fake, bugie, disonestà intellettuale oltre che materiale.
I Leavers dicevano, allora, che un accordo sarebbe stato facilissimo e con una posizione di forza.
Nulla di tutto questo si è visto negli ultimi 30 mesi: l’accordo c’è stato, ma è arrivato dopo mesi di difficilissimi negoziati. Sempre con il Regno Unito in una posizione di difficoltà e perdente, sovrastato dall’unità mostrata dall’UE nel negoziare da una ovvia posizione di forza diplomatica.
Theresa May si è incaponita a credere che il Regno Unito non si trovasse più in Europa ma in un luogo immaginario, sulla Luna o su un castello in aria. E il castello in aria costruito dai fautori della Brexit si è manifestato in tutta la sua drammaticità e sta cadendo sempre più giù.
Oltre alla crisi politica, alla divisione del Paese, all’incertezza, c’è la prospettiva concreta di una crisi economica e sociale epocale, provocata esclusivamente dalla follia della Brexit.
Con lo storico voto di oggi, la Brexit esce essa stessa con le ossa rotte. Perché è ovvio che entro il 29 marzo, in soli 70 giorni, non possa essere messo in piedi un accordo.
Le alternative sono due. O si va verso una Brexit senza alcun accordo, che porterebbe il Regno Unito alla catastrofe economica e sociale, oppure si organizza un nuovo referendum che rigetti quel momento di follia avvenuto due anni e mezzo fa. E riporti il Regno Unito con i piedi per terra: in Europa.
Intanto, si profila una “May-exit”, ma non nel senso della sua proposta di accordo, bensì all’opposto: le dimissioni forzate della Premier britannica.