di Gabriele Bonafede
Sembra un titolo di almeno ottanta anni fa: morire a Danzica, Gdansk in polacco. Invece siamo nel 2019. Con l’ondata di neonazismo che colpisce tutta l’Europa, spargendo odio e violenza, il sindaco di Danzica, Paweł Adamowicz, è morto a causa delle gravi ferite subite a colpi di coltello.
L’assassino è uno di quei giovani che potrebbero essere stati portati alla violenza dal folle clima di odio sparso a piene mani da certa propaganda.
Negli anni ’30 del secolo scorso Danzica era al centro del dibattito diplomatico europeo. Con una retorica stucchevole, i nazisti volevano che Danzica tornasse sotto il controllo della Germania di Hitler.
In qualche modo fu al centro del casus-belli della seconda guerra mondiale che iniziò proprio con l’invasione nazista della Polonia pochi giorni dopo la firma del patto russo-tedesco (23 agosto 1939) di spartizione dell’Europa Orientale.
Nonostante la conferenza di Monaco, o forse proprio per questa, a partire dalla Polonia si scatenò ugualmente una guerra gigantesca: la più grande e sanguinosa della storia dell’uomo. Che portò a 60 milioni di morti e distruzioni di interi Paesi, prima tra tutte la stessa Polonia.
Con il barbaro assassinio di Paweł Adamowicz, più volte decorato per grandi meriti anche da Papa Giovanni Paolo II, l’Europa piomba in maniera diretta in quell’incubo: l‘alleanza di neonazisti e neo “comunisti” per l’assalto all’Europa democratica. I partiti estremi che sembrano rilanciare una violenza verbale e materiale da risveglio dei peggiori fantasmi.
A quell’epoca la stampa occidentale si chiedeva se fosse giusto “morire per Danzica”. Cioè se non fosse un’imprudenza accettare le provocazioni naziste e rispondere con azioni militari contro la Germania nazista per una città che dopotutto era poca cosa rispetto alla pace.
Quella domanda “Perché morire per Danzica?”, apparentemente pacifista, fu in realtà lanciata da un socialista francese (Marcel Déat) presto convertito dall’ultra-pacifismo di facciata all’ultranazionalismo. Un percorso tipico nelle cerchie pseudointellettuali di oggi, non soltanto in Italia.
Oggi come allora non ci si accorge che la realtà ha superato l’immaginazione. L’odio seminato, le bugie sugli ebrei e tanti altri popoli, le fake news, il nazionalismo e il sovranismo galoppante, alla fine degli anni ’30 del XIX secolo, avevano superato da tempo la linea rossa di pericolo. Non ci si accorgeva che la guerra fosse già in corso, dichiarata unilateralmente dalle dittature alle democrazie.
Seppure, fino a quel 1 settembre del 1939 nel quale i nazisti attaccarono la Polonia, la guerra fosse portata avanti in maniera che oggi si direbbe “ibrida”. E cioè con la propaganda di odio e contrapposizione, di grosse bugie, di razzismo galoppante contro stranieri, minoranze o chiunque venisse a tiro, di difesa a oltranza dei propri interessi nazionali costi quel che costi, aiutata qua e là da violenza e guerre locali.
Memori di quella tragedia, oggi si può evitare il massacro. Si può e si deve arginare la follia nazista, figlia inevitabile della propaganda ultranazionalista che oggi va sotto il nome non tanto lontano di “sovranismo”. Oggi è necessario il dialogo ma, soprattutto, marginalizzare la dffusione di odi e muri di ogni tipo e divulgare invece una cultura di pace e di reale progresso scientifico e culturale.
In copertina, Danzica, Polonia, “Mercato lungo” foto di Andrea Anastasakis tratta da unsplash trasformata in bianco e nero. Nel testo, la stessa foto è riprodotta in originale, a colori.
Nel testo, Paweł Adamowicz. Foto tratta da Wikipedia. By Rudolf H. Boettcher – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=71093575.
condivido