Il tempo è galantuomo. Lo certifica un’altra sentenza, stavolta per il mondo del lavoro
di Vincenzo Pino
Era passata nella vulgata popolare che il Jobs Act distruggesse diritti ed aumentasse il precariato. Chiunque, senza aver mai saputo cosa contenesse il provvedimento, sentenziava.
“Ha abolito l’articolo 18”, incalzavano. Senza sapere che la configurazione attuale dell’articolo 18 è quella che hanno voluto la Fornero e Berlusconi col voto favorevole di Bersani con la legge 92/2012. Quando Matteo Renzi era ancora sindaco di Firenze.
E comunque la Cgil ci volle fare il referendum abrogativo ma solo nella successiva legislazione. Perché quando governava Bersani non ci pensava proprio. Anzi, la Camusso non realizzò neanche le sedici ore di sciopero votate dal direttivo suscitando le ire di Landini che sparava fuoco e fiamme contro di lei dal blog di Grillo in quella fase.
Per questo il referendum fu dichiarato inammissibile perché non si può abrogare una legge di una legislatura passata. Ma anche questo la Camusso lo fece passare come una ingiustizia della Corte Costituzionale, minacciando un ricorso alla Corte Europea che poi non fece mai, ovviamente.
E sul Jobs Act la Camusso aggiunse che avrebbe consentito libertà di licenziamenti che non ci furono mai. La quota di licenziamenti negli anni 2015 e seguenti si è mantenuta nell’ambito fisiologico dell’1,4%, come documenta l’Istituto di Diritto del Lavoro diretto da Piero Ichino.
Ma la nenia si estendeva al lavoro precario, sottacendo che il Jobs Act aveva, al contrario, abolito l’istituto delle dimissioni in bianco e limitato le collaborazioni coordinate e continuative riconducendole a lavoro subordinato con diritti connessi.
E’ a questa norma, contenuta nell’articolo 2 della legge 81/2015 (detta Jobs Act) che si è infatti ispirato il giudice di Torino in sede di appello per dare una sentenza favorevole ai riders della Foodora.
E sui riders non era mancata la demagogia populista e farlocca di Di Maio che, incontrandoli, aveva promesso di provvedere alla loro condizione. Ma Giggino ministro , ovviamente, non fece nulla se non qualche selfie e video che malediceva Renzi. Come sempre.
Era luglio 2018, ma già ad ottobre i riders riempivano i giornali lamentando che Di Maio si fosse scordato di loro.
Nel cosiddetto “Decreto Dignità”, infatti, non c’è alcun riferimento su questo aspetto della loro condizione (e dignità) che Di Maio aveva promesso di sanare. Mentre l’unica norma di salvaguardia per tutelare il finto lavoro subordinato regolato da collaborazione è proprio il Jobs Act, come dimostra la sentenza di secondo grado del Tribunale di Torino, che la richiama espressamente.
Quindi il Jobs Act è una norma che tutela il lavoro precario e ne ha soppresso una serie di fattispecie. Toh guarda! Non dicevano il contrario? Che strano.
Dunque sono stati anni in cui è passata una narrazione del mondo del lavoro opposta alla realtà.
E’ stato grazie al Jobs Act, infatti, che sono stati soppressi tutta una serie di lavori precari ed atipici e circa duecentomila persone hanno visto trasformare questa precarietà in un lavoro a tempo indeterminato.
Che vergogna per il duo Di Maio-Camusso che ha costruito questa narrazione falsa della realtà. Con i loro apparati propagandistici sono riusciti a farla passare nella mente di tante persone una legge “negativa”, facendo diventare il Jobs Act un luogo comune, uno dei tanti, dell’operato di Renzi.
Certo, la Cgil aveva puntato sui Cinque Stelle che avevano promesso la reintroduzione dell’articolo 18 nel decreto dignità assieme alla Lega. Ma non l’hanno fatto.
Sono riusciti soltanto ad azzoppare il sistema del lavoro a tempo determinato che sta comportando migliaia di licenziamenti come li aveva avvertiti Boeri.
Ma ora il M5S, in relazione alla mobilitazione unitaria del sindacato per febbraio, non ha mancato di lanciare un messaggio minaccioso e ricattatorio alle centrali sindacali: quello di mettere mano alle loro pensioni d’oro.
Le grandi passioni finiscono molte volte con litigi, minacce, ritorsioni. E, come si sa, Di Maio o chi per lui, è un manovratore astuto se è vero che ha tolto il finanziamento alla piccola editoria ma non alla Padania. E che cercherà di introdurre nella legge anticorruzione una norma per derubricare il reato di peculato di cui sono accusati molti consiglieri regionali leghisti.
Solo Matteo Renzi e una parte del PD aveva capito di che pasta sono fatti i grillini. Quelli che hanno tentennato si stanno ritraendo tutti, da Martina, a Chiamparino ora in piazza con i Sì-Tav ma all’inizio dialogante e critico con Renzi. Non parliamo poi di Zingaretti costretto a smentire il suo vice Smeriglio che aveva prospettato la necessità di un alleanza coi pentastellati. Anche qui come sul Jobs Act Renzi dimostra di averle azzeccate tutte.
Il tempo, che è galantuomo, parla della validità delle normative che si erano realizzate in materia bancaria, sulla Tap, su Ilva, sui vaccini. Ed ora anche sul Jobs Act, strumento legislativo anche per difendere chi lavora nel precariato. E lo dice un giudice che applica la legge, non un opinionista qualsiasi.
In copertina, il noto murales di Sirante con un paio di personaggi politici collocati nel dipinto “I bari” di Caravaggio. Con cattivisssimo fotomontaggio da buonisti. Ci scusiamo con l’artista.