Un caso storico in cui è lecito dire nome omen, un nome un destino: Vittorio
di Pasuqale Hamel
Vittorio Emanuele Orlando è stato senza ombra di dubbio uno dei più grandi giuristi italiani oltre ad uno dei massimi protagonisti politici dell’Italia liberale tra il XIX e il XX secolo. È passato alla storia come “il Presidente della Vittoria”, quella del 1918 alla fine della prima guerra mondiale.
Venne al mondo in un giorno particolare: il 19 maggio 1860, proprio quando Garibaldi, ch’era sbarcato a Marsala il giorno 11 dello stesso mese, si aggirava fra Pioppo e Monreale ed era ormai alle porte di Palermo.
Il padre di Vittorio Emanuele Orlando era Camillo Orlando e la madre Carmela Barabbino. In quelle temperie così agitata, cioè in un tempo in cui col crollo dello Stato borbonico tutto appariva precario, l’avvocato Camillo Orlando era molto impegnato.
Così il padre del futuro politico italiano non poteva provvedere personalmente alla “rivelazione” del neonato com’era allora previsto presso la parrocchia.
Trattenuto da un noto impegno, affidò a un suo uomo di fiducia il compito di registrare il figlio all’anagrafe. Non mancò di ricordagli che il nome da dare doveva essere quello del suo venerato padre, cioè l’avvocato Emanuele.
Come scrive Massimo Ganci, Camillo Orlando “sapeva imporsi alle cosche mafiose che in quegli anni si affermavano nell’agro palermitano”, ma era anche molto attento al corso degli eventi.
L’operazione di rivelazione avvenne così il 27 maggio, giorno della vittoriosa entrata delle truppe garibaldine a Palermo. Il fiduciario, credendo di fare cosa gradita al suo amico prese un’iniziativa personale senza pensarci due volte.
E, forse spinto dall’ardore patriottico o forse per puro opportunismo, alla richiesta del nome da dare al fanciullo si prese la responsabilità di premettere al nome Emanuele quello di Vittorio. Era evidente che il suo fosse un chiaro richiamo a colui che di lì a meno di un anno sarebbe diventato Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia.
Ci si può chiedere come mai costui avesse avuto l’ardire di concedersi quella libertà senza temere le ire dell’avvocato Camillo. Presto detto. Camillo Orlando, penalista che sapeva il fatto suo e professionista di grande prestigio, aveva il senso della realtà. Da tempo aveva capito che il corso delle cose decretava la fine dei Borbone e l’ascesa dei Savoia
Tanto è vero che, non appena Garibaldi entrò a Palermo, nonostante il pericolo che poteva correre, si recò a palazzo Villafranca nella piazza Bologna a Palermo (foto in copertina, comunemente chiamata piazza Bologni) dove il vittorioso Eroe dei Due Mondi si trovava per incontrarlo.
Va ricordato, oltretutto, che quella di Vittorio Emanuele Orlando era stata una famiglia alla quale i Borbone, con grande disappunto dell’avo Diego Orlando anch’egli avvocato, avevano negato di associarli all’aristocraczia siciliana.
L’incontro tra Camillo Orlando e Garibaldi, come testimoniato dal valletto che l’avvocato si portò dietro, avvenne proprio all’ingresso del palazzo Villafranca. Sempre dalle memorie del valletto, pare sia stato un incontro breve ma cordiale.
Su che cosa i due si siano detti non si ha nessuna notizia. Resta il fatto che da quel momento l’avvocato e la famiglia del grande “Nenè”, confidenzialmente veniva additato con quel vezzeggiativo, sarebbe stata un riferimento certo per gli unitari contro le sirene del lealismo borbonico.