“Tutti lo sanno”, “Chesil beach” e “Widows”: tre film da leggere con occhio critico
di Giovanni Burgio
Che anche i film possano essere “patinati”, cioè belli, sfavillanti, con grandi attori, ma, così com’è per la carta stampata, allo stesso tempo risultare vuoti, leggeri, insignificanti, lo abbiamo scoperto vedendo “Tutti lo sanno” del regista Asghar Farhadi e “Chesil Beach – Il segreto di una notte”, tratto da un romanzo di Ian McEwan e con la regia di Dominic Cooke.
Nel primo film, “Tutti lo sanno”, con Penelope Cruz, Javier Bardem e Ricardo Darin, l’indiscutibile mestiere dei tre grandi attori a stento regge l’intero film. Che non è né un thriller né una narrazione sociologica. O meglio: la suspense alla fine si risolve in un piccolo rapimento domestico.
Il secondo aspetto, il ritratto di una società rurale, dove atavicamente permangono conflitti e rancori, scalate sociali e lotte di classe, è appena accennato, solamente sfiorato. Peccato, perché quest’ultimo tema, invece, opportunamente sviluppato e approfondito, poteva essere la giusta chiave per capire cosa si agita all’interno di una minuscola ma importante enclave agricola spagnola.
La pellicola contiene solo due pregi: il ben riuscito e rapidissimo salto emozionale fra i primi 20 minuti di vita perfetta, ideale e idilliaca dell’intera comunità familiare, e l’improvvisa tragedia in cui si precipita per tutto il resto del racconto. E poi lo straordinario e magnifico ponte medioevale dove sono state girate le scene finali.
Ma per il resto, e in conclusione, la storia scivola via, senza lasciare traccia.
Nell’altro film, “Chesil Beach – Il segreto di una notte”, i bellissimi paesaggi del Dorset e l’ottima interpretazione dei due giovani protagonisti, non riescono a compensare i vuoti di significato dell’intera sceneggiatura. Intanto si nota un’evidente contraddizione: com’è possibile che l’atmosfera calda e confidenziale che i due fidanzati respirano nei continui flash-back si trasforma in freddezza e imbarazzo che inondano la stanza d’albergo?
E poi: come si spiega che un giovane ragazzo rissoso e fortemente appassionato, che ha avuto diverse donne, possa sopportare un fidanzamento senza ardori? E ancora: qual è l’origine vera, il motivo profondo, del distacco e del malessere verso il sesso della giovane ragazza? La risposta sta forse nella severità e nella dura disciplina familiare impartita? O in una fobia personale? E com’è che le paure di questa donna spariscono successivamente con un altro uomo con il quale invece riesce a fare una figlia?
Insomma, la splendida fotografia e la raffinata ricercatezza dei costumi fanno da schermo, da patina, appunto, al senso e al contenuto del film, che rimangono in sospeso, con tanti punti interrogativi irrisolti.
Di ben altra qualità e tutt’altra natura è fatto invece “Widows – Eredità criminale”, scritto e diretto da Steve McQueen.
Il batticuore e la tensione ricordano senz’altro “Heat – La sfida”, il capolavoro del 1995 di Michael Mann. Con il quale ha in comune anche l’eccezionale interpretazione di tutti gli attori coinvolti, da quelli secondari ai più importanti. In Widows svettano senz’altro Viola Davis ed Elizabeth Debicki.
E poi colpiscono l’originalità delle riprese (bellissime quelle girate all’esterno di una macchina che cammina in mezzo le strade, mentre il dialogo fra gli attori che non si vedono si svolge all’interno); il soffermarsi su piccolissimi particolari (il rotolare di un anello); l’arte figurativa (nella stessa ripresa, grazie a un gioco di specchi, il triplicarsi dell’immagine dell’attrice).
E d’altronde non si può non ammirare la tecnica cinematografica americana, sempre all’avanguardia e costantemente innovativa (le sequenze iniziali dell’esplosione del furgone, all’interno e poi fuori il capannone, hanno una forza e un montaggio straordinari).
E se fino all’ultimo ci si chiede dov’è finita la rapina, dov’è l’azione, dove sono gli inseguimenti vertiginosi, poi improvvisamente, nell’ultimo quarto d’ora, si assiste a un capovolgimento continuo e incessante di ruoli, a un rimescolamento di trame e complotti. Un susseguirsi di scene che lascia senza fiato e spiazzati.
Cruda, e forse esagerata, è la descrizione dell’intreccio fra politica e criminalità. Ma senz’altro verosimili sono le poche scene di violenza e realistiche le vicende narrate. E d’altronde proprio questo ritratto concreto della quotidianità d’oltreoceano fa di questo film un’espressione autentica e genuina dell’agire umano.
Ecco, in conclusione, il dilemma che pone la visione di questi tre film: la vita va raccontata con sincerità e realisticamente, o è meglio rappresentarla idealmente e fantasticamente?