di Vincenzo Pino
Le vecchie categorie di destra e sinistra faranno i conti con la storia? Non è la prima volta che ci si trova a discettare sul “tasso di sinistrismo” delle forze politiche che hanno vinto le elezioni , lasciando il centrosinistra all’opposizione. Con Zingaretti ci si ritrova così a tattiche già praticate da D’Alema, E si scoprono tante cose.
Specie ora che con la ulteriore scomposizione politica, si è in presenza di un partito di maggioranza relativo che si ispira ad un populismo ribellista e piazzaiolo. E’ lo stesso schema, se ci pensate, che è stato utilizzato in passato quando si è misurato il “tasso di sinistrismo” a partire dalla disponibilità a rompere il fronte moderato e di centrodestra, risultato magari vincente alle elezioni.
Nessun riferimento nell’uno e nell’altro caso a programmi concreti, a costruzione di piattaforme comuni, a valori condivisi nella fase di competizione elettorale. Ma solo tattica: tentativo di infiltrazione nelle contraddizioni altrui, solo e quando si è risultati perdenti alle urne.
E’ uno schema che funziona quando c’è un forte tasso di proporzionalismo nel sistema elettorale ed è possibile intercambiare alleanze e maggioranze per proseguire la normale attività parlamentare senza dar conto ai cittadini di questi passaggi.
Non funziona così ad esempio per le elezioni locali (comuni e regioni) in cui in assenza di maggioranze il candidato risultato vincitore deve dimettersi e dar vita ad una nuova competizione.
Ma nel Parlamento nazionale ciò è possibile come dimostra la formazione di un governo Legastella realizzato con forze che si erano presentate all’elettorato in coalizioni e schieramenti diversi.
Certo, ci fosse stata la legge maggioritaria a doppio turno questo non sarebbe stato possibile. Ma contro questa possibilità si sono schierate la gran parte delle forze politiche che non volevano affidare ad un meccanismo limpido nel suo automatismo la scelta e la composizione dei governi, aggettivando, anzi, una scelta del genere come autoritaria (vedi Italicum).
Se oggi siamo in presenza di questo trasformismo insieme ad una conflittualità permanente tra alleati di governo lo dobbiamo a questa scelta: il No al Referendum istituzionale.
E di fronte a questa situazione vi è in parte del personale politico. In ragione di questa contraddittorietà, nasce il “retropensiero” che il problema principale non sia quello di far pagare l’incoerenza di chi ha tradito il mandato elettorale (ed insieme l’inefficienza dell’azione di governo) ma di operare per continuare nel processo di ulteriore ribaltamento delle alleanze attraverso una ricollocazione garantita da una qualche “affinità” ideologica: il “tasso di sinistrismo”, appunto.
E per preparare il proprio elettorato a questo esito, si decide di prospettare forti uniformità che al momento dell’agone elettorale non c’erano assolutamente.
Oggi siamo di nuovo di fronte a questa situazione. Il tentativo di rompere il fronte di governo per realizzare maggioranze diverse. Dopo che se ne è già consumata una peraltro, bel rispetto degli elettori sarebbe… Gattopardesco? Un pochettino sì, un pochettino assai.
Per affermare questo disegno, ad esempio, nella sinistra si è sempre offerto e paventato il pericolo di destra. Ad esempio, oggi si dice che l’esito di questa incompatibilità governativa tra i contraenti del contratto di governo sarebbe l’asse Berlusconi-Lega, per cui occorrerebbe lavorare ad una ricerca unitaria coi Cinque Stelle.
Lo fa con la solita saccenza D’Alema che è l’animale politico più navigato all’interno di questo sistema e che assegna patenti di sinistrismo con una disinvoltura senza pari. Oggi lo fa coi Cinque Stelle di cui riconoscerebbe una vocazione popolare (e per un partito del 30% è difficile immaginarsi che ne possa essere privo) per prospettarne l’alleanza, ma non è certo la prima volta che lo fa.
Lo fece soprattutto (e magari i deboli di memoria non lo ricorderanno ) quando si sfaldò l’alleanza Berlusconi-Lega nel 1995 e si diede vita al governo Dini che era sostenuto dal centro sinistra e dalla Lega bossiana.
Ecco cosa diceva allora D’Alema: «La Lega c’entra moltissimo con la sinistra, non è una bestemmia. Tra la Lega e la sinistra c’è forte contiguità sociale. Il maggior partito operaio del Nord è la Lega, piaccia o non piaccia. È una nostra costola, è stato il sintomo più evidente e robusto della crisi del nostro sistema politico e si esprime attraverso un anti-statalismo democratico e anche antifascista che non ha nulla a vedere con un blocco organico di destra».(Intervista al Manifesto 30 novembre 1995).
Quelli che erano secessionisti divennero antistatalisti (fondarono il Parlamento della Padania) , quelli antimeridionalisti che non si erano presentati elettoralmente nel Mezzogiorno, lasciando campo libero all’alleanza Fini Berlusconi di cui erano alleati divennero federalisti ( mentre non volevano gli insegnanti meridionali) ed antifascisti dichiarati, i celoduristi maschilisti, democratici e progressisiti.
Il maggior partito operaio, lo definiva, nascondendo però la consistenza della piccola e media impresa che ne era il principale sostegno (non sia mai).
Insomma erano di sinistra perché avevano rotto con Berlusconi ma per il resto è stata la storia impietosa a ricostruire la narrazione degli eventi e della giusta collocazione delle formazioni in campo che hanno identità, programmi e valori propri
E che solo un trasformismo gattopardesco e un po’ pagliaccio può fare rientrare nello schema destra sinistra, come la definizione dalemiana dimostra.
Ed oggi? La stessa storia, con la stessa sicumera coi Cinqe Stelle, senza nessun riferimento ai programmi ed ai comportamenti concreti. E’ di sinistra non fare la Tav? Essere no vax, no Tap, per il reddito di cittadinanza e non per il lavoro? Per i condoni edilizi e fiscali?
Contro gli immigrati con il decreto sicurezza approvato mentre Fico si allontanava dalla Presidenza della Camera (vedi che spavento).
In questo quadro le categorie di destra e sinistra vengono usate come frontiere mobili per definire solo alleati ed avversari, a convenienza.
Il vecchio schema angusto destra-sinistra come l’abbiamo conosciuto nel Novecento è morto per sempre ed il principale testimone di questo esito è proprio il dalemismo che ha cercato di nascondere le sconfitte della sinistra con le alleanza più becere di destra. Non solo con la Lega, come si è visto, ma anche con Lombardo in Sicilia, la Poli Burtone in Puglia in anni piu’ recenti.
Che dimostra ormai di non ammaliare nessuno con queste giravolte, visto il suo risultato del 4 Marzo che dimostra la fine definitiva di questo ciclo politico.
Abbiamo bisogno di un progressismo nuovo, non classista, coraggioso, aperto alle innovazioni, al riequilibrio delle opportunità, ad un nuovo statuto dei rapporti tra imprese e lavoratori.
Tutto il contrario di quello che propone D’Alema e che sembra ancora affascinare la generazione dei dirigenti Pci del secolo scorso da Cuperlo a Zingaretti. Ma non sarebbe il caso di farglielo capire che siamo in un nuovo secolo da quasi vent’anni?