di Giovanni Burgio
Se la situazione congressuale del PD è quella descritta da Matteo Richetti a Palermo, giovedì 1 novembre, al circolo ARCI di via De Spuches, non c’è da stare allegri. Anzi, c’è da disperarsi.
Il candidato alla segreteria del Partito ha dipinto un quadro della situazione nazionale allarmante, se non addirittura disastroso: tatticismi estremi dei capi-corrente, accordi sottobanco fra gli stessi, spostamenti repentini di campo da un giorno all’altro, stretto controllo sul tesseramento, corteggiamento verso i baroni locali per farli passare dalla propria parte. Insomma: massima attenzione agli schieramenti interni e dibattito politico a zero.
“Tutti sono preoccupati di non tenere più le mani sul volante – dice Richetti – Si preoccupano cioè di perdere il comando della macchina. Se poi il risultato elettorale sarà del 10 o dell’8% non importa. L’importante è che io dirigo il Partito e continuo a gestire tutta l’organizzazione. E se poi le liste elettorali per le europee le faccio pure io, è ancora meglio”.
Alla presenza di circa 50 persone molto attente al percorso congressuale, Richetti esprime il suo programma elettorale e le sue coordinate future se dovesse vincere la gara interna al Partito “La cosa di cui mi sono accorto in questi mesi dopo il voto è che la gente vuole partecipare. Agli individui non importa tanto se il proprio contributo sarà in linea con le decisioni future. A loro interessa semplicemente esprimere le proprie idee, le proprie opinioni. Per questo i Cinquestelle hanno vinto, perché attraverso il web, i meetup, i gruppi tematici, tutti potevano dire la loro, tutti potevano manifestare i propri pensieri. La gente vuole essere parte attiva del processo politico, vuole diventare protagonista, vuole essere l’attore principale”.
Ed effettivamente proprio quest’aspetto sottolineato da Richetti è stato quanto è successo in Sicilia. Dopo la sconfitta del 4 marzo, infatti, molti elettori del PD, volendo reagire, hanno cercato d’iscriversi e incidere sulla vita del Partito. Ma l’assenza di direzione politica, le rigide regole burocratiche, l’inesistenza delle sedi materiali per le riunioni, la sempre viva lotta interna, hanno reso difficilissimo il processo partecipativo. Persino la Festa dell’Unità di Palermo è stata fatta fallire. Le vecchie correnti, cioè, hanno prevalso sull’entusiasmo proiettato al futuro. Insomma, la difficoltà di partecipare è stata il maggior difetto del Partito siciliano.
E d’altronde nell’Isola si è ripetuto quello che è successo a livello nazionale: nessuna analisi approfondita sulle cause della sconfitta, nessun serio dibattito politico, nessuna espressione delle linee programmatiche. Solo, invece, veti incrociati e sostanziale paralisi dell’azione politica.
Si spera che le candidature definitive dei prossimi giorni chiariscano le varie differenze politiche fra i concorrenti, cosicché ciascuno potrà scegliere fra le diverse proposte in campo.