di Maria Teresa de Sanctis
Talvolta può accadere che qualcosa che ci sembrava superato, o che credevamo lo fosse, si ripresenti con più vigore che mai. Ed è allora che è assai difficile resistergli. Questo, e non solo, accade nel nuovo e bel lungometraggio di Sebastian Lelio “Disobedience”, regista cileno già molto apprezzato da chi scrive per “Una donna fantastica”, premio Oscar 2018 quale miglior film straniero.
Disobedience è un film dove una scandalosa storia d’amore consente al regista di trattare temi quali la libertà di essere, di realizzarsi, e cosa questo significhi quando si è donne in certi contesti sociali angusti, e naturalmente la disobbedienza del titolo e qualcos’altro ancora.
Dicevamo di una storia d’amore, scandalosa perché si tratta di un amore omosessuale sbocciato fra due ragazze all’interno di una rigida comunità ebrea ortodossa della periferia londinese, ma c’è dell’altro.
È la libertà il vero tema del film. La libertà e quanto costa essere liberi, un prezzo che non sempre si è in grado di pagare. E questo vale per tutti e tre i protagonisti del film, molto amici da ragazzi.
Infatti accanto alle due donne innamorate, Ronit, ormai fotografa affermata di moda che vive a New York (Rachel Weisz, bella e brava come sempre), e la timida e repressa Esti (Rachel McAdams, bravissima nell’offrire allo spettatore lo spaesamento di chi non sa resistere alla passione), abbiamo Dovide, cugino di Ronit (interpretato dall’intenso Alessandro Nevola), ora marito di Esti e ormai prossimo a diventare rabbino.
E anche per lui la libertà (di un semplice abbraccio) sarà un obiettivo da raggiungere. Parlavamo di disobbedienza ma cosa vuol dire non rispettare le regole quando ad essere imperfette potrebbero essere le regole stesse? Regole desunte da interpretazioni di antichi scritti, interpretazioni sulle quali l’officiante di turno ha il potere (e la libertà lui sì che la ha), di speculare. E appunto di libertà ci parla Dovide a conclusione del film.
Libero è anche colui che è capace di accettare le conseguenze del proprio agire (Ronit), senza paura, anche la paura di vivere al di fuori della propria comunità di origine (la paura di Esti, come lei stessa al principio racconta) e senza avere bisogno di intermediari.
Ma una dottrina religiosa che accettasse questo principio creerebbe degli individui liberi anche da essa stessa, mettendo in pericolo la sua stessa ragione di essere. Quindi la vera libertà va conquistata da soli e prima o poi tutti possono trovare il coraggio per tentare questa ardita impresa. Basta solo non avere paura. Basta non avere paura di non rispettare le regole quando queste ledono la dignità umana.