di Giovanni Burgio
Nella vicenda “Di Maio-Condono-Manina”, un aspetto che è sfuggito a tanti osservatori è l’immediato e accorato appello alla Procura della Repubblica da parte del Vice Premier. I giudici, secondo Di Maio, dovevano subito entrare a Palazzo Chigi, sequestrare dei documenti, fare delle indagini, incriminare i colpevoli.
In tempi di Prima Repubblica una questione simile si sarebbe affrontata con duri confronti tra i partiti che formavano la coalizione di governo, con lunghe e complicate discussioni fra i segretari di partito, con un testo finale che avrebbe conciliato le diverse posizioni.
Una disputa, una controversia, che avrebbe coinvolto tecnici, specialisti, dirigenti ed esponenti di partito che a loro volta avrebbero reso conto alle loro organizzazioni di provenienza delle decisioni prese.
Insomma, più organismi collettivi che si sarebbero messi in moto e si sarebbero confrontati, anche duramente. Usando una vecchia immagine, De Mita avrebbe telefonato a Craxi sbraitando e protestando, e dopo poche ore o pochi giorni, o la questione si sarebbe risolta positivamente o si sarebbe rotto il patto di governo.
In tempi da Seconda Repubblica, invece, appare normale, naturale e semplice, rivolgersi ai giudici, alla magistratura, ai tribunali. Un provvedimento nato all’interno del Consiglio dei Ministri dovrebbe essere esaminato, indagato, visto e rivisto, da toghe onestissime, da magistrati integerrimi, da giudici esperti in procedure di governo e meccanismi parlamentari.
Il trionfo, in sostanza, del sistema “Mani pulite”, che ha dato origine alla Seconda Repubblica e ci ha portato al governo del “giustizialismo perfetto”: gli inquisitori duri e puri guidano la nazione e dettano le regole del vivere civile. Dalla democrazia parlamentare si è arrivati al governo delle toghe.
E, d’altronde, non è secondario che chi si sia subito rivolto alla Procura della Repubblica è il segretario di un movimento politico che non ha regole democratiche al suo interno, è stato eletto via internet da pochi seguaci, non ha organismi che lo controllano.
Un verticismo e un comportamento direttivo che vedono nell’indagine e nella dura punizione due metodi da adottare sempre e comunque.
E poi c’è la corsa in TV. Invece di parlare al partito, ai suoi organismi, ai suoi dirigenti, si va in una trasmissione televisiva, davanti a milioni di telespettatori, dinanzi al popolo sovrano. Una vera e propria forma di populismo primordiale. E dobbiamo rallegrarci, persino, che non sia stato un messaggio twitter o un video facebook a raccogliere l’indignazione e la rabbia del Vice Premier.
Si è, insomma, passati dal sistema degli organismi collettivi, plurali, organizzati, il cosiddetto sistema dei partiti, al governo dei vertici, dei pochi, dei nominati. Un modo di governare senza regole e senza controlli, figlio delle nuove tecnologie.