di Gabriele Bonafede
Il vice premier Matteo Salvini, autore principale della “manovra” finanziaria insieme al neofita Di Maio, ha raccolto consensi con lo slogan “Prima gli italiani”. Va dato atto di aver mantenuto la sua promessa. Saranno infatti prima gli italiani a pagare la crisi finanziaria in corso.
D’altronde, lo stesso Salvini, ha indicato quale misura eccezionale per recuperare terreno sui costi della manovra un non ben precisato “contributo” degli italiani. Un sostanzioso prelievo forzoso nei conti correnti? Non è da escludere.
Sta di fatto che la presente manovra e la prevedibile reazione della UE, compresi stati “amici” di Salvini come l’Austria, conferma il profilarsi di una Caporetto della finanza italiana. Lo spread ha raggiunto quota 327 ieri e oggi si avvia a un’altra giornata di passione, con evoluzioni spaventose.
Già nelle prime battute della giornata di oggi è stata sfondata quota 335 e raggiunta quota 340 per alcuni minuti. Al netto di novità di grande importanza, ci si avvia a un rialzo che porterebbe lo spread a livelli difficilmente sostenibili. Se si arrivasse, come è adesso possibile, a superare quota 400 il costo prodotto dal nuovo governo da maggio-giugno ad oggi e nel prossimo futuro sarebbe di varie decine di miliardi, solamente in termini di maggiori interessi per il debito pubblico.
Ma il problema dell’Italia è, purtroppo, molto più pesante e strutturale. Ed è aggravato spaventosamente da una serie di fattori essenzialmente politici.
Uno. Innanzitutto l’Italia non ha un premier. La presenza di Giuseppe Conte a Bruxelles ha reso evidente questo fatto, dimostrando a tutti gli altri premier che Conte non conta nulla. Peggio, non è nemmeno in grado di commentare la situazione, né tecnicamente, né politicamente, lasciandosi andare a frasi puerili del tipo “la manovra è bella”, come se fosse un mazzo di fiori e non un passaggio fondamentale nella gestione dei conti pubblici di un Paese di 60 milioni di abitanti. Ma dove prende suggerimenti per certi commenti? Nei bigliettini dei baci Perugina?
Due. Il governo Legastella, continua ad essere litigioso e incompetente, soprattutto per quanto riguarda la materia economica e finanziaria. Eletto sulla base di promesse folli e irrealizzabili, se non a carissimo prezzo per gli italiani che dovranno pagare il conto, ha solo un terreno comune: una scomposta rivolta alle regole europee e a quelle del buon senso. Farcito di ministri spaventosamente incompetenti, come Di Maio e Toninelli, continua a negare l’evidenza, ossia la fase delicata nella quale è stato precipitato il Paese in pochi mesi. Sembra che alcuni ministri il Movimento Cinque Stelle li abbia trovati nei pacchetti di patatine. Mentre la Lega li abbia trovati negli ombrosi anfratti di cimiteri politici del XX secolo.
Tre. Pesa, fin dalla costituzione del governo, la presenza di alcuni ministri e sottosegretari che hanno teorizzato l’uscita dell’Italia dall’euro e comunque criticato la moneta unica, la BCE, il sistema di alleanze internazionali, oltre che la politica economica di prudenza e coesione. In queste condizioni, anche ritirando e modificando la manovra, sembra difficile che lo spread possa tornare stabilmente sotto i 200 punti.
Quattro. A fronte di un fabbisogno reale di finanziamento del deficit pubblico sui mercati, il governo Legastella continua a negare un’altra evidenza. E cioè che se si chiedono soldi sui mercati internazionali per darli agli italiani, persino senza niente in cambio oltre al voto, gli stessi mercati hanno tutto il diritto di non prestare questi soldi. O per lo meno di prestarli a interessi più alti, visto il dubbio uso che se ne vuole fare.
La Commissione Europea, che rappresenta la stragrande maggioranza del finanziamento pubblico, dello sbocco commerciale italiano e dell’import di beni fondamentali per l’economia italiana, ha giustamente bacchettato il governo italiano e i contenuti della manovra, a partire da quelli generali.
Il cosiddetto “premier” Conte ha risposto in maniera puerile e ancora non conosciamo la reazione formale della Commissione Europea che, verosimilmente, entrerà nel merito e nei dettagli delle audaci proposte di utilizzo dei soldi a prestito da parte dell’Italia.
Insomma, l’Italia sembra come quel tizietto impersonato da Benigni, in un suo film, che va in banca a chiedere un prestito senza sapere nemmeno di cosa sta parlando. Di più, sembra persino uno che va puerilmente in banca a chiedere un prestito per comprare i numeri al lotto, e insultando pure chi gli sta di fronte.
In questa situazione, gli italiani non hanno ancora capito bene verso quale disastro li stanno portando i politici del “governo del cambiamento”. I prossimi appuntamenti sono infatti drammatici.
Il primo avverrà già lunedì, quando alle 12.00 il governo dovrà dare risposta alle dure osservazioni iniziali della Commissione. Il buongiorno si vede dal mattino, ma qui, siamo alla notte fonda. Perché Salvini ha persino esternato “l’inutilità” di un consiglio dei ministri per partorire una qualsivoglia reazione. E questo in piena bagarre politico-elettorale tra il suo partito e il bizzoso partner di governo. Di Maio conferma la sua strabiliante incapacità ad avere un minimo di serietà e di credibilità. Conte sembra un pupazzo senza fili.
Il secondo, drammatico appuntamento, è imminente, con la revisione del rating dell’Italia. Si profila un abbassamento che, sebbene già scontato in parte nel livello di spread, avrà comunque ulteriori impatti. Molto probabilmente negativi.
Il terzo appuntamento è Babbo Natale. Nel periodo natalizio le imprese realizzano una buona metà delle entrate. Babbo Natale decide, ogni anno, come è messa l’economia. Quella vera, quella che produce. Se si vende, se il mood rimane positivo, magari l’Italia potrà riprendersi e giustificare almeno in parte una manovra che, a parole, è rivolta all’irrobustimento della domanda interna. Ma con questi chiari di luna, con le incertezze finanziarie e politiche, con i mercati che si innervosiscono sempre più, la cosa appare tanto auspicabile quanto difficile. Tanto più che gli effetti della manovra sulla domanda interna, se ci saranno, saranno solo psicologici da qui a qualche settimana, e non ancora materiali sul portafoglio degli italiani.
Il quarto, ancora più drammatico appuntamento, è a fine anno. Qui la BCE chiuderà la fase del Quantitative Easing, cioè l’acquisto di titoli di Stato, soprattutto di quelli italiani. L’effetto potrebbe essere devastante per le finanze pubbliche degli italiani. Anche perché, lo spread non è ancora salito alle stelle grazie soprattutto all’azione benefica della tanto vituperata BCE. Gli altri, stanno già vendendo i titoli di Stato italiani, anziché comprarli.
Dulcis in fundo, l’economia mondiale è entrata in una fase che il The Economist definisce di “pre-crisi”, quanto meno possibile. Una fase che vede un comportamento delle banche centrali dei vari paesi difforme, e comunque segnato dall’incremento dei tassi d’interesse di riferimento (quelli delle banche centrali) che aumenterebbero dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna e anche all’Europa. Tutto ciò nel mezzo delle folli guerre commerciali lanciate da Trump e applaudite dai governanti italiani a dispetto delle evidenti ricadute negative sull’economia italiana. Si rischia, insomma, una situazione di crisi dove gli Stati più deboli, per giunta indeboliti da dissennati governi come accade in Italia, si troverebbero per primi nel vortice della crisi. Non a caso, il The Economist ha definito l’Italia, al momento, come “una bomba [finanziaria] a orologeria”. Si badi bene, in un contesto non solo nazionale, ma anche continentale e mondiale.
Chi pagherà la crisi prossima ventura? Stante così le cose, senza correzioni, sembra che i primi a pagare saranno proprio gli italiani.
In copertina, foto di Christian Dubovan, tratta da unsplash.