di Gabriele Bonafede
Il Ministro Tria aveva evocato il Piave: l’estrema difesa dopo la disfatta di Caporetto nell’autunno del 1917. Era stata fissata, la difesa del Piave, all’1,9% di deficit. Ma il duo Salvini-Di Maio ha voluto il 2,4%, realizzando, così, una Caporetto finanziaria senza difesa del Piave, un secolo dopo la rotta italiana nella prima guerra mondiale.
Già dalla mattina tutti gli indici della finanza italiana sono drammatici, la falla del fronte di difesa italiana ormai diventata una voragine. È il governo del cambiamento, senza dubbio. Un cambiamento verso deresponsalizzazione. E così, fiumi di denaro persi o presi prigionieri, come, ahimè, decine di migliaia di italiani un secolo fa.
Si affolla la rotta, si profila la disfatta, si profila Caporetto. Quella disfatta che fu anche una mancanza di responsabilità, a partire dagli alti comandi, convinti che si potesse tranquillamente difendere, che non si “temeva l’attacco”. Le stesse parole del Luigi (Cadorna) di allora sono riecheggiate nell’italica etere con tanto di sorriso vincente nel Luigi (Di Maio) di oggi: “Non temiamo i mercati”. E l’artiglieria di Salvini-Badoglio, allora come oggi, tace.
Le valli delle banche sono prese, come allora quelle dell’Isonzo. Lo spread, la fronte Giulia di allora, aggirata e vicina al crollo. L’Italia è in pericolo, condotta al disastro da generali tanto baldanzosi quanto incompetenti.
E mentre si fa festa, mentre gli italiani non capiscono o non vogliono capire cosa sta succedendo, crolla ugualmente il fronte finanziario. La borsa giù, i titoli bancari sospesi per troppo ribasso, gli interessi alle stelle. Mentre la maggioranza degli italiani resta ignara, accontentata del mangime per polli e bollettini addirittura vittoriosi quando il disastro si profila imminente.
Così la follia non si ferma. Così l’ordine di ritirata, come allora, non verrà dato in tempo dai Luigi e dai Matteo oggi al comando.
Come il Luigi di allora, i generali di oggi, già da se stessi degradati a “capitani”, pretendono di dare la colpa agli altri, ai cosiddetti traditori, agli sbandati, a chi dovrà pagare: agli italiani che combattono ogni giorno nella trincea del lavoro per difendere realmente l’Italia, per mantenerla in un consesso di pace concordata da nazioni sovrane ed amiche, per farla crescere con i sacrifici dediti alla pace e all’operosità. Si darà colpa al tedesco, al “nemico” creato e non voluto. Come allora.
Dopo che lo sbandamento iniziale sarà rotta evidente, si ergerà una nuova difesa sul Piave, ritirando la funesta manovra e dando l’incarico a un nuovo generale? Si cercherà di cambiare i propri piani suggeriti da una maggiore prudenza? Ahimè, no.
L’Italia di allora seppe reagire. Seppe guardare in faccia la realtà di una sconfitta meritata e dovuta soprattutto alla faciloneria e alla disistima diffusa da chi comandava. Sostituendo in tempo capi e strategie: dall’attacco rischioso e senza alcun senso sulle pietraie del Carso, alla difesa della propria civiltà e indipendenza. Che, oggi come allora, passa dalla realistica constatazione di quali siano le proprie forze, quali sono, nel concreto, le possibilità di reagire. E, soprattutto, con quali persone al comando.
Ma no, nell’Italia di oggi è diverso. La maggioranza sondata e chiassosa di un intero popolo acclama la sconfitta di Caporetto come se fosse una vittoria. E nel frattempo si festeggia, si balla, si canta, si beve. Ciò che accadde allora nei primi giorni, qui continuerà. Cercando di non vedere in faccia la realtà.
La realtà, però, è già una fiumana di vendite, di capitali fuggiti o presi prigionieri nella morsa. Nella mancanza di fiducia verso questa Italia autolesionista. Il 98% delle imprese in borsa segna il ribasso, alcune in maniera drammatica. La Caporetto della finanza, che gli italiani lo vogliano o meno, lo capiscano o meno, si può presto trasformare in imprese chiuse, in disoccupazione, in rovina economica. Si può trasformare in vero asservimento ai propri debitori.
Caporetto è già nell’aria, è sotto gli occhi di tutti. I Cadorna di oggi sembrano come i Cadorna di ieri. La maggioranza degli italiani non vuole sostituirli e così si va avanti, allegramente, verso il disastro completo.