di Vincenzo Pino
L’hanno etichettata la manovra del popolo i pentastellati. Hanno bisogno di simboleggiare in ogni occasione il vuoto di proposta con la suggestione degli slogan. Decaduta la terza repubblica, riposta quella del governo voluto dai cittadini, si sono lanciati ora in questa formula.
Condita dalle amplificazioni del solito noto che assegna alla prossima legge finanziaria il compito di “abolire la povertà”.
Lo strumento per realizzare tale nobile fine? Indebitarsi per l’immediato, pagando interessi forti per questo debito che non saranno ripianabili con la scossa all’economia, che pure gli antipauperisti a parole auspicano visti i ritmi di crescita del Pil.
E poi, ad aggravare la superficialità sloganistica ci si è messa pure la mancata analisi del fenomeno-povertà. Per cui i cinque milioni di poveri sono rappresentati per il 30% da immigrati residenti (altro che prima gli italiani come da slogan).
Chi garantisce,poi, che la maggiore disponibilità economica serva a rilanciare prodotti italiani e non si traduca in aumento del risparmio privato o nel migliore dei casi in acquisto di ipad e strumentazione elettronica finanziando aziende estere?
Tutto ciò non è dato sapere. Piuttosto che una manovra coraggiosa sembra una manovra cieca.
Si è fatto un riferimento all’orgoglio ed alla sovranità del paese per sostenere questo azzardo richiamando l’esempio della Francia. Gabriele Bonafede ha provveduto su queste stesse pagine (qui l’articolo) a richiamare la differenza profonda tra le situazioni citate (in relazione a spread, Pil e massa debitoria). Sottolineaando un ulteriore passaggio: che le risorse mobilitate in Francia si caratterizzano come un investimento produttivo a favore dello sviluppo, essendo mirate al sostegno delle assunzioni ed al rinnovamento delle imprese e che rientreranno come crescita del Pil nel prossimo triennio.
E se ci si fa caso, il modello adottato in Franca è quello che si è realizzato nel triennio precedente in Italia dove grazie al sostegno alle assunzioni ed il programma industria 4.0, si sono avuti un milione di occupati in più e una crescita del Pil da -1,8 nel 2013 a più 1,7 nel 2017.
Quindi erano programmi, questi, realmente finalizzati allo sviluppo. Dove anche il sostegno al reddito era stato orientato innanzitutto verso il lavoro dipendente. Insomma un triennio orientato verso il mondo del lavoro e lo sviluppo delle imprese e che ha determinato anche una discreta propensione al consumo in quelle aree che avevano difficoltà ad accedere ad un livello soddisfacente nella qualità della vita (lavoratori dipendenti di fascia medio bassa). E sostenuto da un rinnovato clima di ottimismo e di fiducia altro elemento importante che accompagna la propensione all’investimento ed al consumo.
Vediamo che invece nella manovra proposta da questo governo tutto è indistinto e non c’è una finalizzazione in qualche modo definita e definibile dell’intervento. Non ci sono strati sociali di riferimento se si pretende di combinare insieme flat tax e reddito di cittadinanza. Insomma, c’è una elargizione a pioggia che ha un sapore elettoralistico, tutt’altro che coraggioso.
Non a caso si tenta di prosciugare tutte le risorse predisposte dagli interventi precedentemente avviati (fondi alle periferie, risorse per il sostegno alla condizione di disoccupazione, Naspi) per gettarli in questo vuoto indistinto.
Il Pd, alla buon ora, ha presentato il suo progetto alternativo a quello governativo. E qui la specificazione dell’intervento è chiara come pure la finalità e gli strati sociali di riferimento. Un taglio permanente del costo del lavoro dell’1%, che si aggiunge al 50% di abbattimento degli oneri sociali previsto dal governo Gentiloni e riconfermato nel cosidetto decreto dignità.
Nell’approccio della controproposta Pd c’è innanzitutto una solidarietà intergenerazionale attraverso la costituzione di un fondo che assicuri una pensione minima (780 Euro) a quei giovani cui la precarietà non ha permesso di cumulare contributi sufficiente per arrivare a questa soglia minima. C’è un intervento riequilibratore per le famiglie con figli nell’ordine di 240 Euro al mese per rilanciare la natività nel paese.
C’è, inoltre, un sostegno a famiglie e giovani per gli affitti, per intervenire su situazioni di disagio da un lato e sostenere i processi di mobilità per studio e lavoro. In modo particolare proprio per i giovani.
E c’è il raddoppio dello stanziamento e dei beneficiari del Rei, una misura che si è dimostrata efficace sin dalla sperimentazione di questi due anni. Era esattamente il programma di governo con cui si è presentato il Pd al 4 Marzo e che ora viene riproposto dopo essere stato bocciato alle urne.
La possibilità che questo disegno articolato e finalizzato si affermi è che lo stesso non resti confinato nella battaglia dei gruppi parlamentari, ma diventi oggetto di confronto sociale e possibilmente centralità congressuale.
Insomma il disegno della nuova Italia che abbia come centralità lo sviluppo produttivo, il lavoro, l’Europa e le imprese. Un paese equilibrato anche nelle forme di assistenza necessarie a chi è rimasto indietro ma che affermi il principio sacrosanto per cui occorre produrre la ricchezza per poterla distribuire. Un disegno che abbia il coraggio di affrontare la realtà, e non eluderla con proposte di propaganda.
Invece, questo passaggio manca del tutto nella impostazione dell’attuale governo che vorrebbe creare ricchezza col debito andando appresso a una pia illusione: in realtà, senza alcun coraggio.