di Gabriele Bonafede
In un’Italia alla deriva, con un governo fantoccio, incapace persino di dare seguito alle proprie promesse, la periferia delle periferie ha accolto Papa Francesco nella speranza che porti un messaggio di riscatto e di civiltà. Almeno così si spera, a Palermo, a Brancaccio, laddove l’inferno mafioso uccise Padre Pino Puglisi venticinque anni fa.
È passato un quarto di secolo da quel barbaro assassinio, e Brancaccio migliora, forse, ma solo a millimetri. Adesso, in quel quartiere a volte chiamato “Mosul” dalla Palermo beneomale, arriva un tram che lo collega al “quasi centro”.
Un tram costruito un po’ a casaccio quale rete urbana, ma che comunque ha dato un minimo di “cittadinanza” a uno dei quartieri più infernali della periferia urbana di una periferia (Palermo), che è a sua volta periferia di periferia (l’Italia del Mezzogiorno) rispetto all’Europa civilizzata.
Una tripla periferia che, se può sperare in qualche cosa è proprio in quella Unione Europea che ha finanziato quel poco di buono che è stato fatto dalle amministrazioni cittadine negli ultimi 30-40 anni.
Senza i fondi europei e senza essere al traino di una civiltà occidentale dopotutto magnanima e indulgente verso gli autolesionisti siciliani (i quali, va detto, non sono capaci di spendere tutti i fondi UE), Brancaccio, Palermo e la Sicilia sarebbero grosso modo come la sponda meridionale del Mediterraneo.
Se non ci fosse quella civiltà che, almeno a parole, propaganda solidarietà, accoglienza, crescita culturale, diritti, crescita economica e infrastrutturale, Palermo e Brancaccio sarebbero un inferno ben più grave di quello che sono oggi. Dopotutto, a Palermo, si vive persino bene, se non si deve lavorare e si ha ciò che è l’obiettivo di tutti i palermitani: il posto di stipendio.
Brancaccio e Palermo rimangono, checché, periferie delle periferie, nonostante le medaglie culturali, come la Capitale della Cultura, Manifesta 12, il Teatro Massimo e i tanti artisti, presenti o partiti, considerati o dimenticati.
Palermo, a tratti vivibile, persino bella, persino sontuosa, ma solo e sempre perché c’è l’Europa e, forse, a partire da ieri, perché c’è un pizzico di Papa Francesco, sia pure per poche ore e via. Breve visita, intensa, simbolica, perché da “Perdete ogni speranza, o voi che entrate”, c’è una piccola, fioca fiammella di luce, che può essere intesa come “Raccogliete ogni speranza o voi che entrate”.
A ben vedere, a Palermo non si entra. Piuttosto se ne esce. I giovani, ne escono, ne partono, per altri lidi. Soprattutto quelle schiere che riescono ad avere un minimo di formazione e di cultura. Da Palermo, purtroppo, se ne esce morti. Come Pino Puglisi, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per citare i tre più conosciuti. Molti Palermitani con la P maiuscola o sono partiti o sono morti. È triste dirlo ma è così. E quelli rimasti si affannano, si accalcano, si piegano anche, si avvicinano al simbolo di turno senza capirci poi più di tanto: solo per speranza, quella che è l’ultima a morire.
Speranza da periferie. Le periferie, appunto, come Brancaccio, Falsomiele, lo Zen, Borgo Nuovo, esterne alla città. Ma anche quelle interne come Borgo Vecchio e il Centro Storico. Interne, intimamente, come le coscienze contrite dei palermitani, che Papa Francesco vuole, e forse riesce, a scuotere. Riportandole verso quel filo esiguo, quel voler sperare e seguire i migliori simboli. Speranza nel chiamare vita, e vita mi risponda, al contrario di ciò che va nella canzone “vitti na crozza”.
Periferie dimenticate e bistrattate, persino sbeffeggiate da un premier-burattino come Giuseppe Conte, che si permette di atterrare a Palermo dopo aver tolto i fondi per le stesse periferie. E parla, in città, nella stessa periferia, con una faccia da metallo d’ere egizie. Una faccia giustamente evitata da un Sindaco che ha fatto bene ad evitarla, se non altro perché, finora, di fortuna questo premier non ne ha portata punto, né a Palermo, né all’Italia.
Raccogliete ogni speranza, o voi che entrate o vivete a Palermo. Perché nei mesi e negli anni a venire ne servirà. Molta.
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