La storia non si ripete ma qualcosa la insegna sempre
di Franco Lo Piparo
I giornali sono pieni di tentativi di spiegazione dell’imprevisto governo legastellato. Ieri “Repubblica” ha pubblicato un lunghissimo articolo di Veltroni: pieno di ripetitive banalità e di buoni sentimenti senza uno straccio di analisi. Naturalmente ha riscosso grande successo nell’intellettualità di sinistra. Non poteva essere diversamente.
La tesi centrale di Veltroni è che l’attuale governo non bisogna chiamarlo «populista» ma di «estrema destra». Conclusione: «contro questa destra estrema è l’ora di una nuova sinistra».
Nell’editoriale non firmato su “Il Foglio” di oggi viene formulato un controargomento a cui penso da tempo. Lo riporto.
«Senza capire che il governo delle nuove destre è in realtà anche il governo delle vecchie sinistre (…) si continuerà a costruire un’alternativa combattendo un avversario immaginario. Non chiamiamolo il governo dei populisti, ok, ma non chiamiamolo neanche il governo delle destre. È il governo degli estremismi, sia quelli di destra sia quelli di sinistra. Prima sarà chiaro a tutti, prima sarà possibile ricostruire un’alternativa fondata non sui sogni ma semplicemente sulla realtà».
«La sinistra che prova a trasformare il governo estremista nel governo delle nuove destre è una sinistra che non fa altro che nascondersi dietro a un ombrellone e che non accetta di costruire il proprio futuro facendo tesoro di alcuni errori del passato».
A molti amici di sinistra questa analisi non piacerà. E però una riflessione semplice semplice bisognerebbe farla. Se buona parte dell’elettorato di sinistra ha preferito votare 5stelle una ragione ci sarà.
Non sarà perché quegli elettori hanno percepito che molte delle parole d’ordine della sinistra storica venivano meglio rappresentate dal partito di Grillo? Perché allora etichettare di destra un partito che raccoglie consensi di sinistra? E se l’errore fosse in quelle parole d’ordine? Non sarebbe più produttivo ripensare criticamente quelle parole d’ordine?
La storia non si ripete ma qualcosa la insegna sempre. Qualcosa di simile accadde nell’Italia degli anni venti e trenta del secolo scorso quando molti socialisti e comunisti aderirono al fascismo. L’adesione non fu vissuta come un salto nel campo politico opposto ma come un passaggio verso un movimento che si pensava meglio rappresentasse gli ideali socialisti e comunisti. Quel periodo storico è interessante e istruttivo.