Il primo tentativo di monopolio e sviluppo industriale intorno alla produzione degli zolfi siciliani nel 1836: Ferdinando II di Borbone, i francesi della Taix-Aycard e la reazione degli inglesi
di Pasquale Hamel
Nel 1836, il fiorente mercato dello zolfo, in Sicilia, conosce la sua prima crisi di sovrapproduzione. Fino ad allora a guadagnare, su quella che costituiva una risorsa strategica per l’isola, erano stati gli inglesi che acquistavano il minerale a basso prezzo e si guardavano bene dall’investire in Sicilia per agevolare lo sviluppo industriale.
Il Re delle Due Sicilie, Ferdinando II, che aveva uno sguardo più lungo rispetto a quello delle classi dirigenti locali, cioè gli aristocratici, e che notoriamente non amava molto gli inglesi, si rese conto che tutto questo non poteva andare.
Con un provvedimento inaspettato, decise di affidare il monopolio ad una multinazionale francese, la Tayx-Aycard. Con un duplice impegno: regolare l’estrazione per evitare che la sovrapproduzione incidesse sui prezzi e costruire nel territorio isolano, favorendo la industrializzazione, degli impianti per la produzione di acido solforico, di soda e di solfuro di soda.
Apriti cielo! Gli inglesi, con l’allora Premier Palmerston, reagiscono minacciando di intervenire militarmente, e questo poteva essere anche giustificato.
Non giustificata, se non dalla meschinità degli interessi particolari e dell’assenza totale di senso dello Stato, la reazione dei proprietari che diedero aperto sostegno agli inglesi e tentarono di sabotare il nuovo monopolista.
Ferdinando protestò vivacemente, si rivolse perfino alle potenze europee del tempo per avere un sostegno in questa sua solitaria battaglia, senza tuttavia ottenere alcun riscontro concreto. Abbandonato da tutti, anche per salvare il trono, non gli restò che accettare il diktat del governo di sua maestà britannica, sciogliere l’accordo con la società marsigliese Taix-Aycard e ripristinare le vecchie regole.
Così, se nel 1832 il minerale esportato ammontava circa 25.000 tonnellate nel 1859, un anno prima che Garibaldi sbarcasse in Sicilia iniziando quell’avventura che avrebbe portato al crollo del regno borbonico, il minerale esportato ammontava a 110.000 tonnellate senza grandi innovazioni nei metodi d’estrazione e nell’eventuale impulso all’industia locale. Con le conseguenze che è facile immaginare e che sono state messe in evidenza in molti studi e pubblicazioni anche letterarie.
La vicenda che raccontiamo, come tante altre vicende della storia passata e recente, mostrano quanto le classi dirigenti locali siano state lungimiranti e quanto nell’isola gli interessi particolari abbiano contato rispetto a quelli generali.
In copertina, foto tratta da Wikipedia. Di Eugenio Interguglielmi (1850-1911). – Scansione personale, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7296438
Devo dissentire dalle conclusioni di Pasquale Hamel. Ricordo infatti che il primo tentativo di Giovanni Luigi Esprit Amato Taix – personaggio ambiguo, che aveva alle spalle in patria alcuni fallimenti, ed era notoriamente legato agli ambienti carlisti – di ottenere un contratto di esclusiva per il commercio dello zolfo siciliano risale al 1834, e che la richiesta era motivata proprio con la volontà di contrastare il calo dei prezzi causato dalla vera o presunta sovrapproduzione.
Dunque la conclusione della trattativa, con la firma del contratto avvenuta il 9 luglio 1838, non può certo dirsi improvvisa; e d’altronde avvenne a seguito di una procedura abbastanza anomala, che vide in pratica escluso dalla decisione il “Consiglio dei ministri”.
Per non farla lunga, aggiungo solo due dati: l’intervento inglese, che si risolse in una dimostrazione navale nel corso della quale non fu sparato un colpo di moschetto, ebbe inizio il 6 aprile 1840, quando dalla firma del contratto erano trascorsi quasi due anni; ma già l’8 gennaio 1840 Ferdinando II aveva ordinato lo scioglimento del contratto incautamente firmato, di fronte alle enormi difficoltà provocate nell’isola dalla sua applicazione.
A rimetterci fu la Sicilia, che dovette risarcire Taix e i “negozianti” inglesi che sostenevano di aver avuto delle perdite con una somma che – secondo i calcoli di Romualdo Giuffrida – finì per superare i due milioni di ducati.
Non si capisce assolutamente cosa vuoi dire. Che non fu sparato un solo colpo di moschetto non significa che lo spiegamento di forze fosse pacifico.
Mi spiace che Michele Bettini non capisca cosa voglio dire. Io ho riportato dei fatti, non delle opinioni. Se Bettini conosce fatti diversi, lo invito a riferirli.