A fronte di una situazione drammatica, il Presidente Mattarella ha mantenuto coerenza, calma, affidabilità, difendendo Stato e Istituzioni e gli interessi dell’Italia
di Vincenzo Pino
Riavvolgiamo il nastro di questi 85 giorni e riascoltiamo tempi e cadenze di questa crisi di governo. Le elezioni del 4 Marzo non hanno dato una maggioranza di governo al paese.
Vi sono state due maggioranze relative: una nell’ambito della coalizione di centro destra col 37% dei voti, ed una al Movimento penta stellato che presentandosi da solo ha ottenuto il 32%.
La difficoltà nella scelta stava tutta nella impostazione della campagna elettorale dei due non vincitori (che si sono erroneamente autoproclamati “trionfatori”), in cui la coalizione si era presentata con un programma comune di governo mentre i pentastellati avevano proclamato che mai avrebbero fatto alleanze con altre forze politiche per governare.
La prima fase è stata determinata da questo impasse. E le prime forzature anticostituzionali furono agitate da Di Maio da un lato che pretendeva l’incarico di premier in base alla sua esclusiva rappresentanza dei cittadini ed in base ad una “terza repubblica” di cui lui solo conosceva i contorni. Ma anche dall’altro e da Berlusconi in particolare che chiedeva l’incarico per il centro destra in base alla previsione che poi qualche volenteroso tra i parlamentari si sarebbe trovato mentre ne mancavano una cinquantina.
Acquisita l’impossibilità di percorrere una strada segnata dai reciproci veti il Presidente della Repubblica attraverso i Presidenti di Camera e Senato ha verificato ulteriormente se le rigidità da campagna elettorale potessero essere smussate nella fase di formazione del governo, visto che invece per quanto riguardava l’assegnazione delle cariche parlamentari era emerso un’asse centrodestra-pentastellati.
Tale verifica si esaurì nel giro di qualche giorno complice anche il rifiuto di Salvini di avere un incarico senza maggioranza da una parte mentre sull’ altro versante si consumò la rottura col “secondo forno” per incompatibilità programmatiche non mediabili.
A questo punto e solo a questo punto, il Presidente della Repubblica, avanzò una sua proposta di governo neutro in grado di affrontare le principali scadenze del paese compresa la legge finanziaria.
Fu a questo punto che Salvini e Di Mao furono costretti a prospettare chiaramente quello che era apparso chiaro ai più: un governo tra loro. In barba a tutti i proclami elettorali ed al tradimento della configurazione attraverso cui avevano realizzato il loro consenso.
Fu così apertamente avanzata l’ipotesi di questo governo il cui primo ostacolo fu la definizione della leadership.
Ma Salvini non poteva permetterne la conduzione a Di Maio perché avrebbe significato la rottura completa con lo schieramento di provenienza ed un vantaggio troppo forte nel posizionamento dello stesso nello scacchiere politico.
Per cui, ancora in barba, a quanto detto prima ci si è rivolto ad un soggetto terzo per la leadership definito in primis mero esecutore del contratto di governo.
Ma appena questa proposizione apparve troppo contraddittoria con quanto affermato prima (mai di nuovo un Monti) si cercò con un artifizio verbale ad arricchire di 11 e poi di 17 milioni di voti il Premier designato.
Fu allora che scoppiò una ulteriore grana: quella del contratto di programma che nella versione pubblicata il 14 Maggio prevedeva la decurtazione del debito sui titoli Bce di 250 miliardi, gettando nel panico banche, risparmiatori ed investitori italiani e stranieri.
La repentina ritirata e correzione di questa parte nel contratto non ha però attutito i contraccolpi che si sono determinati. Nel giro di due settimane si è visto accrescere lo spread di 80 punti base riportandoci ai livelli di fine 2013.
Ma che l’intenzione del contratto penta stellato fosse questa, e cioè quella di realizzare quanto follemente promesso in campagna elettorale portando il deficit a livelli esponenziali, è riapparsa chiaramente con la proposta di Savona al timone del principale dicastero economico.
A fronte di una richiesta legittima del Presidente della Repubblica di sostituire questa designazione, fatto non nuovo se si pensa ai precedenti di Darida, Previti e Gratteri, il fronte legapentastellato ha opposto un netto rifiuto determinando la rinuncia all’incarico.
Cosa avrebbe tradito allora Mattarella? Voler rassicurare partner internazionali ed istituzioni che ci danno credito sarebbe un cedimento?
Di Maio che invece ha ingannato i suoi elettori al grido di mai alleanze, mai governi tecnici, cosa sarebbe? E la Meloni che imputa a Mattarella di non aver dato l’incarico a Salvini mentre è stato lui stesso a rifiutarlo?
Siamo di fronte a personaggi che sotto il profilo della coerenza e della dirittura morale sono sotto la linea di galleggiamento. Hanno tradito i loro elettori e cercano un capro espiatorio per depistare tutto questo.
Ed ora è stato compito di Mattarella, paziente custode della Costituzione che ha profuso tutto il suo impegno per garantire un governo al Paese, trovare una soluzione per dfendere gli interessidegli italiani. Se Lega e Cinque Stelle hanno fallito è un loro problema e dovranno presentarsi agli elettori con questo fallimento. E con le loro bugie ormai più che evidenti.