di Franco Lo Piparo
Apprendo da “Repubblica” di oggi che da un recente rapporto di «Save the children» risulta che il 72,6 per cento (tre su quattro all’incirca) dei giovani siciliani tra i 6 e i 17 anni non legge libri. Spero con tutto il cuore che il dato sia il risultato di rilevamenti non corretti. Temo che sia una immagine abbastanza fedele della realtà.
È un dato sconfortante che spiega tante cose. I genitori di chi ha attualmente un’età compresa tra i 6 e i 17 anni hanno a loro volta un’età compresa tra i 30 e i 50 anni. In poche parole, appartengono alla generazione dell’attuale classe dirigente.
Con classe dirigente mi riferisco a chi a vario titolo amministra la cosa pubblica. Il dato di «Save the children» inevitabilmente proietta anche una pessima luce sulla generazione più anziana. Non credo che genitori che hanno dimestichezza coi libri producano figli che non prendono un libro in mano.
Come si fa ad uscire da questo circolo infernale? La generazione di chi è nato grosso modo nel ventennio che va dal 1940 al 1960 può aiutare a capire. Io ne faccio parte. È la generazione che ha avuto genitori segnati dalla guerra e che progettavano per i figli un futuro migliore dal proprio. Erano gli anni in cui ciascuno viveva dentro un ascensore sociale che conosceva solo la direzione verso l’alto.
Anche tra quei genitori non circolavano molti libri e però tutti delegavano alla scuola la formazione libresca dei propri figli che molte famiglie non erano in grado di dare. La scuola fu un potentissimo apparato di formazione culturale e un fattore di discontinuità tra i giovani e gli anziani di allora. Questo è accaduto perché i genitori avevano fiducia nella scuola e intuivano che si trovava là il motore dell’ascensore sociale. A partire dalla fine degli anni sessanta questa fiducia gradualmente e progressivamente decade. Il sessantotto è solo il simbolo e l’acceleratore della caduta della fiducia nella scuola.
La scuola. Bisogna ricominciare dalla scuola più che dalle famiglie culturalmente e antropologicamente già compromesse. Galli della Loggia in un recente e acuto editoriale sul «Corriere della Sera» (9 maggio) faceva notare che degli attuali tre leader emergenti italiani (Di Maio, Salvini, Renzi) solo uno (Renzi) ha una laurea e tutti e tre hanno un curriculum formativo in cui la presenza di programmi di intrattenimento televisivi è associata all’assenza totale di studio o di lavoro in centri di ricerca nazionali o internazionali. Non altrettanto può dirsi della giovane classe dirigente tedesca o francese.
Chi può farsi promotore del cambiamento? La domanda con difficile risposta dilata a dismisura il pessimismo della ragione. L’attuale giovane, a volte anche giovanissima, classe dirigente a sua volta frutto dello sconquassato sistema scolastico da cambiare? Possibile? Temo di no. Mi piacerebbe essere smentito dalla realtà.
In copertina, Biblioteca di Palazzo Branciforte a Palermo. Foto di Giusi Andolina.