Il perché della citazione di Einaudi “il Presidente non è un notaio”, che scelse autonomamente nel 1954 un Presidente del Consiglio senza indicazione del Partito di maggioranza relativo.
di Vincenzo Pino
L’articolo 92 della Costituzione è chiaro: è il Presidente della Repubblica a scegliere il Presidente del Consiglio dei Ministri. Questa attribuzione va strettamente connessa però ad un’altra che, anche se sottintesa, va sempre tenuta in considerazione: quella delle attribuzioni parlamentari che legittimano questa scelta col voto di fiducia.
In un sistema quale quello prefigurato dalla riforma costituzionale e dal doppio turno di ballottaggio, la indicazione sarebbe quasi automatica discendendo da una chiara ed inequivocabile manifestazione del popolo sovrano.
Ma in un regime proporzionale l’azione del Presidente della Repubblica viene esaltato in quanto la lettura degli equilibri elettorali e della manifestazione di volontà del popolo sovrano si prestano ad interpretazioni che possono spettare a lui. Specie quando queste non sono chiare.
Superata perciò la imposizione demenziale e scorretta per cui esisterebbe un automatismo ad assegnare l’incarico al partito di maggioranza relativo quando questo è lontano dal rappresentare il 50+1 del Parlamento, viene meno anche la obbligatorietà ad assegnare l’incarico anche alla coalizione vincente quando questa rimane lontana da quella stessa soglia ed in più può registrare delle crepe e delle divisioni nelle strategie post elettorali.
Vediamo allora al momento come si prefigura l’equilibrio parlamentare relativo alla formazione di un governo Lega-M5S.
Questa alleanza rappresenta in termini parlamentari il 51% al Senato, che con la sua proporzionalità meglio rappresenta le indicazioni elettorali. Sarebbero, infatti, 167 su 320 i senatori favorevoli a tale governo visto che l’operazione di estendere il perimetro favorevole tentata prima con Berlusconi e successivamente con la Meloni da Di Maio (penoso questo episodio al limite della simonia e dello sgarbo istituzionale al Presidente della Repubblica) non è andata a buon fine.
Non vi è quindi nessuna garanzia di governabilità con queste cifre. Per cui, se la prospettiva sarebbe per Lega e M5S quella di ottenere l’incarico per proiettarsi in condizione di forza (e di nomine) verso le elezioni anticipate, il Presidente della Repubblica potrebbe avocare a sé questa scelta con un governo terzo che offrisse eguali opportunità a tutte le forze politiche (e non a quel 50% rappresentato da Lega e M5S) nella previsione di un voto anticipato. Appunto, non essere semplicemente un notaio.
Come si vede esiste uno spazio di intervento e di suasion della Presidenza della Repubblica che può magari determinare per equilibrare l’insieme di queste esigenze l’indicazione di un premier terzo, e di ministri che fossero magari in grado di attrarre voti al di fuori dello schieramento di maggioranza su provvedimento condivisi.
Insomma l’ubriacatura del remake “Una poltrona per due” e del relativo copione è lungi dall’essere proiettato,
Una nuova trama ed un nuovo finale devono essere riscritti . E la scelta spetta al regista del film: Sergio Mattarella.
Spero di averla interpretata bene caro Presidente.
In copertina: il Parlamento italiano (Camera e Senato) riunito il giorno dell’elezione di Sergio Mattarella Presidente della Repubblica.