Movimento Cinque Stelle, natura, alleanze, intoppi. Quale ruolo per il Pd
di Vincenzo Pino
La mossa del cavallo di Di Maio sembra sparigliare le carte ma, stando alle ultime dichiarazioni di Mattarella, non gli riesce. I Cinque Stelle avevano tenuto duro sulla leadership Di Maio finora ma con la Lega hanno ceduto. Mentre nel confronto col Pd, lo aveva ribadito con forza Toninelli, poneva un diktat preventivo difficile da digerire per qualsiasi interlocutore. Invece, con la Lega, cade questa pregiudiziale.
Diciamo la verità, al di là della reale possibilità di un governo M5S-Lega, la trattativa col Pd era una farsa per i Cinque Stelle: utile soltanto, come si è dimostrato, ad incidere con più forza e con un potere al limite del ricatto politico, nell’unica trattativa che contava e continua a contare per i Cinque Stelle, quella con la Lega. Lo si è visto dai toni sprezzanti, ammantati soltanto dall’obbligo istituzionale che Mattarella aveva imposto con l’incarico esplorativo a Fico.
Il M5S, tra una mossa del pedone e una del cavallo, è assai attento al suo elettorato che per quasi il 60% è favorevole al governo con la Lega mentre per il 16% sarebbe stato favorevole a quello col Pd.
È questo il dato della politica odierna: un’assonanza profonda nella natura tra gli elettorati M5S e Lega. Come dimostra la osservazione sugli elettori leghisti i quali (sondaggio nella figura), per quasi per il 50%, propenderebbero per un governo coi M5S e solo un terzo per quello Lega-Centrodestra.
Un quadro da cui emerge che, per entrambi, il principale nemico in questi anni è stato fondamentalmente il Pd, individuato per la sua persistenza al governo come il principale esponente della “casta”. Mentre Forza Italia ne è stata quasi al riparo, grazie all’alleanza con la Lega e, a ben vedere, la periodica non belligeranza dei Cinque Stelle.
Le prove di questa sceneggiatura erano evidenti già alle elezioni comunali di Torino dove il complesso leghista-pentastellati aveva ribaltato al ballottaggio il risultato del primo turno.
Oggi le contraddizioni emergono chiaramente e la sottovalutazione dell’ambivalenza leghista (alleata di Forza Italia) dalla prospettiva Cinque Stelle, è sotto gli occhi di tutti. Forza Italia costituisce il principale ostacolo alla formazione di un governo che corrisponda ai desiderata della maggioranza degli elettori M5S e Lega. Emergono ora nella loro inconsistenza tutte le teorizzazioni relative ad una vocazione similsinistra del M5S .
LeU, in maniera inequivocabile, ne ha fatto le spese perdendo metà del suo elettorato potenziale (derivante dalla somma degli ex MdP, Si). Da questo scenario emerge la necessità di avviare una riflessione seria nel Pd, evitando che il sacrificio del leader sia il tradizionale lavacro delle coscienze.
Perché, purtroppo per il Pd, è questa la risposta che è stata data nel corso di questo decennio. È dal 2008 che il Pd, che pure aveva rappresentato una novità nella politica italiana, perde attraverso la sequenza 34% (2008), 25% (2013), 18% (2018). Una discesa di elezioni politiche in elezioni politiche. I leader sono stati bruciati tutti ma la china, fatto salvo l’exploit straordinario alle Europee del 2014, non si è mai invertita.
Ora, per il Pd, sarebbe il caso di avviare una riflessione strategica seria e non improvvisata o isterica. Una riflessione che tenga conto dei dati reali del consenso ivi compreso il successo alle Europee del 2014. Lì, a fronte di un rinnovamento e di un deciso ancoraggio ai valori occidentali ed europei, si è avuta una inversione di tendenza al calo decennale del Pd riconquistando 2 milioni e 200mila voti rispetto al 2013.
Restare a metà del guado senza una strategia significherebbe per il Pd rimanere stritolati dal processo politico che si trascina da dieci anni ma che si è accelerato ulteriormente dopo il 4 marzo. Mattarella chiama per un governo istituzionale che porti a un voto tra pochi mesi. Ma la ricollocazione polotica del Pd continua ad essere materia da lungo termine.
Nell’immagine a sinistra: Sondaggio Ipsos: Preferenze alleanze per i diversi elettorati sul governo. 30 Aprile 2018 Termometro Politico
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