di Gabriele Bonafede
Giuditta Perriera traccia una nuova sfida a teatro con i testi che più ama, quelli del padre. In particolare, quelli che dipingono una donna forte, che non si risparmia, che conduce e sa condurre. Amplificando una sperimentazione sui ritratti più complessi e virtuosi già disegnati da Michele Perriera.
In scena per la prima volta al Teatro Sant’Eugenio di Mario Pupella lo scorso 5 aprile con il titolo “Non si può parlare d’amore senza temere di perderlo”, la nuova pièce di Giuditta riadatta i testi “Ingiury time”, “Dove hai lasciato la mia barca” e “Ritorno” di Michele Perriera.
Sono tre ritratti di donna, “Tre donne che amano, che ricordano, che resistono alla brutalità dei tempi e rispondono con una ostinata e appassionata volontà di non piegarsi alla morte, alla prepotenza, alla fine dell’umanità – precisa Giuditta Perriera nelle note di regia – è la donna di Michele Perriera, che è madre, sorella, compagna; che è saggia e bambina, che ha coraggio e immaginazione, che è severa e tenerissima. Una che accetta di essere trasformata in un bradipo per salvare l’umanità; l’altra che si rifiuta di abbandonare uno sconosciuto al suo destino di morte e l’ultima che parla a Dio come ad un uomo incapace di comprendere la passione ed il dolore nella vita dell’essere umano.”
Sul palco del Sant’Eugenio di Palermo, Non si può parlare d’amore senza temere di perderlo conferma le grandi potenzialità d’adattamento a rappresentare la donna di Michele Perriera, grazie al trio di attrici che le fa rivivere: Giuditta Perriera, Daniela Melluso Pupella e Rosetta Iacona.
Donna-eroina la prima, di un eroismo in seno alla famiglia, quella sviluppata con Rosetta Iacona (in Injury Time). Che non si ferma al monologo ma costruisce un rapporto tra chi vince con il sacrificio e chi invece si rifugia nel proprio orgoglio. Rappresentando così il paradosso dell’assurdo, con il teatro che unisce nascita e morte alle sorde necessità tra i due eventi.
Donna-eroina la seconda, sviluppata da Daniela Melluso Pupella (in Dove hai lasciato la mia barca), che rievoca la consapevole disperazione nella passione, rappresentando l’unica possibilità di non perdere l’amore: l’immaginazione di sé stessi in un luogo e un uomo che è visto solo dall’amante e nessun altro.
Donna-eroina la terza, con Giuditta Perriera (in Ritorno), dove il capitolo finale della vita non è necessariamente la fine, ma un trasporto verso un nuovo principio. Anche qui, il monologo si fa dialogo con l’emergere di una zattera alla deriva che scivola su ignote acque pronte a rifiorire.
Tra sogno, paradosso e cruda realtà, l’esperimento di Giuditta al teatro sant’Eugenio riesce e può portare frutti nel suo ulteriore sviluppo. Perché rimane la sensazione che i tre sogni siano veri e trasferiti dall’inconscio senza tempo al quotidiano ripetersi del mattino e della storia. Con la fertile terra dell’umanità al centro: la donna.