di Giovanni Rosciglione
E’ partito il countdown per il grande spettacolo della mezzanotte del 4 marzo. La piazza mediatica è affollata da molta gente, ma non tutti aspettano quel minuto con il medesimo stato d’animo.
Ogni primo gennaio tutti fingiamo o, comunque, accettiamo di essere felici e fiduciosi. Ci mischiamo ad una folla variopinta ed eccitata partendo dalla convinzione che per un minuto almeno saremo tutti fratelli, tutti uniti nella gioia e nella speranza. Ci mettiamo buffi copricapo, fiondiamo le stelle filanti, ci abbracciamo anche con il panellaro all’angolo o con la vicina della cognata. Tutti siamo o fingiamo di accingerci a iniziare un anno migliore di quello che ci siamo lasciati dietro. E quindi brindiamo con bicchieri di plastica non riciclabile come fossero “lieti calici”, flûte di baccarat, magari ricolmi di Cinzano frizzante dolcetto.
Ma all’appuntamento con Vespa o Mentana alla mezzanotte del 4 marzo il pezzo di umanità interessata andrà con differenti interessi e con contrastanti sensazioni. Ci sarà una parte che da tempo ha deciso di non godere di un diritto democratico.
Un’altra parte è incerta, delusa, non informata sufficientemente sul se o perché mettere una crocetta su un simbolo. Infine c’è la parte che ha deciso; che sa quale simbolo preferire, vuoi per nobili e precisi motivi, vuoi per quello “scambio di prestazioni” che, soprattutto nel Mezzogiorno, è molto diffuso.
Questo segmento a sua volta si biforca tra chi ha deciso con ragionevole, pacata convinzione e, per questo, conosce sufficientemente regole e protagonisti e anche i loro difetti; ed un gruppo, ahinoi sempre più numeroso, di uomini e donne che hanno deciso d’impeto, che, tra gli tutti organi umani di cui siamo dotati, ha scelto di usare il meno nobile: l’intestino. La pancia, per essere chiaro.
E’ a questo segmento che voglio riferirmi. E’ una parte numerosa e accanita. Grida, insulta, esulta, suda, si appassiona, si aggrappa al sogno da biglietto di lotteria. Onestamente c’è da dire che questo fenomeno non è la causa della confusione e del degrado pericoloso del sistema politico e istituzionale che l’Italia attraversa; ma è l’effetto della venticinquennale paralisi della politica italiana (la cosiddetta Seconda Repubblica nata da Mani Pulite e dalla caduta del Muro di Berlino). E’ il movimentato esercito del “uno vale uno che è uguale a uno non vale nessuno”. E’ la costellazione di stelle che ha acquistato visibilità in modo inversamente proporzionale alle condizioni visive del cielo della politica
Di recente abbiamo apprezzato sui confusi e dopati media italiani una piccola e preziosa nota della Professoressa Maria Cristina Ferraioli (nella foto), docente all’Università della Sorbonne e Manager di Artribune .
Una frase, per capirci … “. L’onestà di cui il movimento si riempie la bocca continuamente non è un vanto. È il grado zero della civiltà, cosa che sarebbe nota perfino a loro se avessero studiato un po’ di latino. Occupare un posto che non si è in grado di occupare, essere pagati per un lavoro che non si è grado di fare quella è la peggiore forma di disonestà civile. E come diceva quel vecchio saggio di Seneca “la vergogna dovrebbe proibire a ognuno di noi ciò che le leggi non proibiscono”.
Io sono d’accordo con lei, si capisce.
Ma intanto un sondaggismo tanto frenetico quanto opaco li spinge alla ribalta e li rende appetibili al popolo scalatore di carri vincenti e un’informazione multimediale polverizzata e incolta, mi sbatte a destra e a manca la raffigurazione di questi prestigiatori di provincia e guitti da avanspettacolo come potenziali e rivoluzionari padroni del mio paese. E escono, anche dalle preziose bocche di intellettuali di corte, radicali perdenti, ricchi pentiti e popolani bovini, melliflue e ipnotiche frasi: “Ma abbiamo provato tutti e tutti e vedete come è andata a finire (come?), diamo loro una chance, facciamoli governare, vediamo che fanno prima di giudicare; se non altro sono onesti…”
E’ a questo punto che mi è venuta in mente una spassosa e educativa scena di un film del 1987di Allan Stewart Königsberg in arte Woody Allen: Radio Days (qui). L’opera è ambientata ovviamente in una New York del 1944 e racconta la strana storia di una modesta famiglia di Ebrei di seconda generazione. I due coniugi Needleman escono per fare compiti e nella loro casa entrano due ladri scassinatori. La Radio di casa è accesa e trasmette il quiz “indovina il motivo”, allora molto di moda: I ladri si fermano a sentire le domande e, al numero di telefono della trasmissione, danno le esatte risposte a tutte le domande. Chiudono la radio e scappano all’arrivo dei padroni. Questi, inconsapevoli vincitori del quiz radiofonico, il giorno dopo vedono arrivare a casa una montagna di premi dal valore complessivo molte volte superiore al modesto danno calcolato del furto subito.
E’, per loro, la santificazione della Radio, che in famiglia sarà da allora considerata generosa dispensatrice di beni e voce autorevole della verità.
Nel giorno dello Yom Kippur tutta la famiglia si riunisce in casa, invitando anche i vicini ebrei scontenti comunisti. Nel salotto è sempre accesa la radio. La voce benefattrice. Ognuno ha il proprio programma preferito. Se Abe (una figlia) ama le leggende sportive e a Ceil (un’altra figlia) interessa Il ventriloquo molto celebre. Ceil, all’orario previsto si siede e chiama intorno a se tutti gli invitati ad ascoltare le meraviglie del programma. Tutti, i Needleman e i vicini, si seggono in cerchio intorno al Totem e ridono e ridono in estasi per l’umorismo e le mille voci e personaggi che il ventriloquo famoso ecletticamente esibisce. Il programma finisce e il gruppo si scioglie contento, apprezzando l’artista.
Anche questa scena del film ha una voce fuori campo, Joe, che agli spettatori fa notare quanto decisamente poco autentica dovrebbe essere la capacità di imitare perfettamente mille voci alla Radio. E’ l’impagabile umorismo yiddish (אידיש) che è sempre autoironico e disincantato.
Ecco: Woody (la sua statuetta è nell’altare dei miei Lari) e la Professoressa Ferraioli (per la quale ho lasciato un piccolo spazio) mi hanno illuminato sulla composizione prevalente del febbricitante popolo pentastellato, quello fatto da milioni di persone in buona fede e con mille ragioni per essere delusi, incazzati e determinati. C’è un altro pezzo che vive sulla piattaforma Rousseau, che ha altre motivazioni: una fame di potere da barbari, un familismo osceno, una determinazione aggressiva a prendere parte al saccheggio della democrazia.
E dunque milioni di famiglie Needleman ingenuamente ascoltano le mille voci del Ventriloquo Famoso che si esibisce alla Radio deificata; sono felici e contenti; non dubitano, perché alla radio non vedi il trucco.
Mentre nella gabina di trasmissione il Ventriloquo, giovane erede di un crinito Imprenditore, che non si sa con i soldi di chi, ha messo su uno spettacolo horror in cui un Pupazzo dagli occhi dolci parla le mille voci della onestà e dell’eguaglianza, promette ricchezze e giustizia, dice che gli zoppi correranno i 100 metri, i ciechi vinceranno i premi di tiro a volo, gli idraulici cureranno le emorragie, Muccino farà un film, Sabina Guzzanti farà ridere e, anche se non sei mai andato a scuola, potrai laurearti.
Insomma, per parlare alla pancia, occorre che la voce venga dalla pancia, Come il Ventriloquo, appunto.
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