di Vincenzo Pino
Eh no, io non penso che la situazione italiana possa essere paragonata a quella degli anni ‘20 del secolo scorso. Non vi è una guerra alle spalle con tutto il carico di revanchismo che portò al fascismo sia in Italia come in Germania.
È vero però che abbiamo alle spalle una spaventosa crisi economica che aveva portato l’Italia a perdere nel giro degli anni 2008-2013 una quota considerevole del Prodotto Interno Lordo, con l’inevitabile conseguenza di chiusure di fabbriche, aumento spaventoso della disoccupazione, crack bancari la cui principale causa è stata l’insolvenza debitoria di imprese e cittadini.
Si ricordino gli esodati senza lavoro e pensione, sacrificati nei loro percorsi di uscita lavorativa all’annullamento degli accordi stipulati per il repentino aumento dell’età pensionabile, si ricordino gli assalti agli uffici di Equitalia , i suicidi ed il rischio di Grecia con un debito pubblico che cresceva per l’innalzamento dei tassi di interesse, insieme alla caduta del Pil che generava ulteriore deficit corrente.
Oggi a distanza di cinque anni nulla sembra assomigliare a questo quadro disperato, eppure. Nonostante gli indubbi successi sul piano del rilancio economico, produttivo ed occupazione, nonostante il sostegno esercitato dalla Bce, nonostante tutto insomma, l’Italia sembrerebbe un paese smarrito in alcune sue fasce. Si realizza ora da parte di quelli che non sono stati colpiti direttamente dalla crisi che non è riproponibile un modello sociale che aveva permesso il facile pensionamento che ha funzionato a partire dagli anni 70 fino al 2012.
Pensate per un attimo al mondo della scuola la cui esasperazione principale è costituita da questo motivo. Loro che fino agli anni 80 se donne potevano andare in pensione con meno di 15 anni di lavoro effettivo ed ora invece con quarant’anni non possono. Come pure vasti settori del pubblico impiego, a meno che decidano di pagarne una piccola parte con l’Ape volontaria. Si pensi alla caduta verticale delle risorse che offriva il clientelismo e la sistemazione nella Pubblica Amministrazione che è stata agitata ed in parte realizzata fino agli anni 2000.
È cambiato un mondo per queste aree lavorative e territoriali che vedono ribaltare la gerarchia delle priorità a favore dei lavori gravosi ed usuranti o in regime di protezione da perdita di lavoro. Tutto il quadro delle loro esistenze ne risulta sconvolto ed in questo certamente il Meridione ne risulta penalizzato. E’ questo il brodo di coltura su cui è cresciuto il M5S nel Mezzogiorno, un movimento che richiama la storia dell’uomo qualunque nell’immediato dopoguerra. Oggi che però sono più saldi i presidi democratici ed istituzionali questa massa si rivolta contro.
Questo è all’origine dell’antipolitica e di un movimento confuso protestatario che non vede la possibilità di riprodurre la propria condizione di sopravvivenza. A partire dagli insegnanti che devono fare i conti con la necessità di andare a lavorare dove il lavoro c’è, al Nord, e si ritengono maltrattati se potranno finalmente avere una stabilizzazione (per molti di loro in ragione dell’età avanzata e dei carichi familiari era meglio stare precari a casa propria).
È questo il refrain dei ceti impiegatizi meridionali che non possono fare ereditare la loro condizione ai figli. Insomma con la crisi molti nodi sono venuti al pettine e siccome per certe fasce della popolazione italiana non si prefigura un possibile sviluppo alternativo, perché nelle loro teste non c’è, ecco che la saldatura diritto a pensione e diritto al clientelismo come speranza di vita, molto va in rotta di collisione. Questa la scommessa del 4 marzo nelle Regioni meridionali, una scommessa difficilissima perché anche dal fronte democratico e progressista non si è sviluppata negli ultimi decenni un disegno politico od una pratica amministrativa (penso in Sicilia all’esperienza di Crocetta) tale da prefigurare un nuovo modo di sperare nel futuro.
Cosa è cambiato allora in Sicilia? Purtroppo e se ne piangono le conseguenze ed in Sicilia la voce più frequente che gira è:”Proviamo i 5 Stelle”. Ma è un messaggio disperato visto la capacità di governo che hanno dimostrato e la loro pratica politica ormai pienamente assimilata ai peggiori comportamenti. Ma si sa, la Sicilia ha votato per la Monarchia, ha rappresentato il maggior bacino per l’Uomo Qualunque e poi per la Dc e per l’Msi, ed ancora per Berlusconi, dopo che la speranza di un movimento democratico di sinistra, dopo la vittoria delle Regionali del 47, fu annegata nelle stragi di mafia e nella repressione sclbiana. E ora non resta che Grillo…
In Italia è cambiato un mondo, in Sicilia no.
In copertina, il Teatro marmoreo con la statua del re spagnolo Filippo V (che sostituì la statua di Filippo IV), eretto nel 1662 (con successive modifiche, esattamente la statua e il re che rappresentava). Siamo a Villa Bonanno a Palermo, di fronte Palazzo dei Normanni sede dell’Assemblea Regionale Siciliana. Foto di Gusi Andolina.