di Gabriele Bonafede
Paragonare il mondo di oggi a quello di Tamerlano? Forse non è esclusivamente questa l’intenzione di Luigi Lo Cascio con il suo spettacolo tratto dal cinquecentesco “Tamburlaine the Great”, scritto nel 1587 o nel 1588 (e pubblicato nel 1590) dall’elisabettiano Chrstopher Marlowe, coevo di Shakespeare, ma morto prematuramente e misteriosamente a 29 anni (1563).
In effetti, al centro della corposa rappresentazione di Tamerlano (ieri in prima al Teatro Biondo di Palermo), c’è l’abisso. L’abisso morale, intimo, personale, più che collettivo. Anche perché il testo si presta più a una narrazione dei potenti, e della funesta ambizione dei signori della guerra, che alla decifrazione dell’immensa rovina umana e sociale portata dalla guerra e dalla violenza.
Grazie a una convincente, e talvolta prodigiosa, performance di Vincenzo Pirrotta nel ruolo di protagonista, tutto ciò che potrebbe essere detto per immagini, o per migliaia di pagine di lettura, si esplica nel personaggio.
Pirrotta dimostra una volta di più d’essere particolarmente adatto al ruolo di anti-eroe o “eroe funesto”, confermando un suo stile personale. Non meno brillanti sono Tamara Balducci e Lorena Cacciatore nei ruoli di protagoniste femminili, soprattutto quando propongono la tregenda intrappolata dal contesto.
Stabilmente sostenuti da Gigi Borruso, Giovanni Calcagno, Paride Cicirello, Marcello Montalto, Salvatore Ragusa e Fabrizio Romano, i nove attori riescono a trasporre e far immaginare su nude tavole un impatto emotivo che altrimenti richiederebbe, oggi, i mezzi a disposizione per un film dal budget illimitato. La scenografia si affida fondamentalmente all’affermato talento di Nicola Console, e Alice Mangano, mantenendo il rapporto del pubblico centrato sugli attori, evitando così di ridurre a “kolossal” un percorso nato esclusivamente per il teatro.
Così facendo, lo spettacolo riesce a porre temi di attualità “a pelle”, pur con un testo di secoli fa e una limitata intrusione del racconto traslato all’oggi. Marlowe, per chi non lo sapesse, proponeva infatti un linguaggio particolare (il blank verse), che Lo Cascio ha voluto evidentemente omaggiare, magari rischiando.
L’Italia è sull’orlo dell’abisso? Anche qui il Tamerlano di Lo Cascio ha il pregio di porre questa domanda, anche se lo fa sovrapponendo alcune partiture (o stili) che possono sembrare in contrasto, o persino forzate, rispetto alla narrazione principale.
Tamerlano creò un impero mongolo del tardo medioevo come lo aveva creato Gengis Khan: sulla base di eserciti immensi e truculenti, e sulla base della conquista e del terrore, impaurendo con torture e massacri di civili inermi, distruggendo intere città macellandone orrendamente le popolazioni, dall’India alla Siria, passando per la Persia, la Mesopotamia e l’Anatolia. Si narra che, dopo aver violentato, stuprato, e massacrato centinaia di migliaia di persone (alcune stime parlano di circa 15 milioni durante le sue guerre), lasciasse piramidi di teschi ai quattro angoli delle città conquistate, suddividendole in categorie: una piramide di teschi di donne, una di uomini, una di vecchi e una di bambini.
Lo spettacolo di Lo Cascio, sebbene faccia a tratti un oneroso tentativo, non vuole dipingere esclusivamente l’aspetto “sociale” dell’abisso: se non con testo e personaggi. La sua è una rappresentazione teatrale, non un film. E nemmeno un reportage giornalistico sulle distruzioni e le torture degli osannati dittatori di oggi, quali sono i Tamerlani del tempo presente che purtroppo godono di ampio seguito in Italia e nel mondo. Evoca, ma non indugia. Lascia immaginare, ma non puntualizza “a notizia”. Perché è del teatro questo approccio, persino in testi che rischiano d’essere fin troppo esplicativi.
Nondimeno, quale rappresentazione teatrale, “Tamerlano” scava nell’animo umano dei personaggi, spostando l’attenzione sul percorso di qualsiasi criminale SS di oggi. Se ci fa notare che questi criminali si stanno moltiplicando giorno per giorno, evita d’indugiare sull’aspetto sociale se non con la denunzia delle convinzioni assolute. Convinzioni totalitarie, che dalla sfera personale finiscono per portare rovina nella sfera collettiva e, infine, di nuovo in quella personale. Il totalitarismo è dunque visto quale male assoluto nell’intimo singolare di ogni personaggio, in chiaro omaggio a Marlowe. E forse a Shakespeare.
Il suo spettacolo rivela un insospettabile, e forse involontario, ottimismo. Proponendo una disperazione, una sensazione di “pentimento” nel più crudele degli uomini al momento in cui viene travolto dalla sua stessa violenza in ambito familiare: anche nel clan nazista, il sangue versato diventa insopportabile. Ma solo quando riguarda il “proprio” sangue. Una visione in qualche modo salvifica, persino nell’abisso. Forse non intenzionale, e comunque individuale.
In effetti, una speranza storica c’è. Ed è che l’impero di Tamerlano, che per altro tentò di proporre altri aspetti molto più civili, non sopravvisse alla morte dell’omonimo condottiero. L’impero di Hitler è durato ancora meno. Gli imperi truculenti di oggi potrebbero essere spazzati via prima ancora di conquistare veramente il mondo. L’iperbole dell’abisso, ben rappresentata da un gruppo minimo di attori per questo testo, traspare potente. Forse nell’unica maniera possibile a teatro: consolidando il ruolo degli attori.
Su un panorama più ampio, il successo dello spettacolo sta nel fare ammettere, o per lo meno affrontare, la tesi di fondo della stessa rappresentazione: non si va verso l’abisso, ci stiamo cadendo in questo preciso istante. Ci siamo già caduti, e risalire la china non sarà per nulla facile né garantito. Nemmeno quando le nostre città, al posto della torre di Pisa, avranno un’inclinata piramide di teschi quale ornamento.
Tamerlano di Luigi Lo Cascio, tratto da Tamerlano il Grande di Christopher Marlowe regia Luigi Lo Cascio, scene e costumi Nicola Console, Alice Mangano, musiche Andrea Rocca, luci Cesare Accetta,
Personaggi e interpreti:
Tamerlano, Vincenzo Pirrotta, Zabina/Agida/Soldato senza tempo e senza nome Tamara Balducci, Cosroe / Sultano/Dottore/Un uomo/Soldato senza tempo e senza nome Gigi Borruso, Zenocrate/Sharuk/Soldato senza tempo e senza nome Lorena Cacciatore, Bajazet/Calepino/Soldato senza tempo e senza nome Giovanni Calcagno, Gianghir/Ortigio Paride Cicirello, Teridama/Re di Trebisonda/Soldato senza tempo e senza nome Marcello Montalto, Tecelle/Re d’Arabia /Re di Natolia/Soldato senza tempo e senza nome Salvatore Ragusa, Micete/Pascià/Almeda /Soldato senza tempo e senza nome Fabrizio Romano
Assistente alla regia Alessandro Idonea, produzione Teatro Biondo Palermo