“Il giuramento” dei professori universitari nell’Italia fascista di ieri al Teatro Biondo di Palermo. Scritto da Claudio Fava, rievoca un ricorso storico evidente nella società di oggi. E non solo nella “destra”
di Gabriele Bonafede
Va in scena in questi giorni, al Teatro Biondo di Palermo, “Il giuramento”, messo in scena da Ninni Bruschetta su testo di Claudio Fava. La rappresentazione, per come è realizzata, coinvolge non poco. Ma non stupisce più di tanto. E, a tratti, ha qualche rallentamento di ritmo, per non parlare di uno stile quasi da musical-TV. Che, personalmente, non gradisco.
Rimane però una pièce di straordinaria importanza, anche se per motivi che forse esulano dalle iniziali intenzioni dell’autore. Il giuramento è un testo che porta in scena una delle più grandi vergogne dell’università e dell’intera società italiana negli anni ’30 del secolo scorso.
Il fascismo impose, ai circa 1300 professori universitari italiani dell’epoca, di giurare pubblicamente fedeltà al re e al fascismo di Mussolini.
Giurare fedeltà, quindi, a una cultura monopolizzata dalla dittatura e dal razzismo, non solo quale occupazione di un luogo di potere fondamentale, ma anche quale occupazione delle coscienze, nella forma esteriore come in quella interiore. Far giurare, cioè, a chi doveva far crescere nei giovani lo spirito di curiosità, di libertà, di dubbio, di scienza, di cultura, la negazione delle stesse identiche cose.
Non era una cosa che faceva solo il fascismo. Lo facevano tutte le dittature, di qualsiasi colore politico. Più o meno implicitamente e con i mezzi a disposizione per convincere gli eventuali dissidenti: marginalizzazione, rovina economica e sociale, galera, confino, tortura psicologica e fisica, deportazione, campi di concentramento, una pistolettata alla nuca se necessario, magari nei sotterranei dell’hotel Lux a Mosca, anziché altrove.
La rappresentazione al Teatro Biondo di Palermo ha reso più che bene l’idea di quella vergogna, ad oggi non ancora capita e ricordata come si dovrebbe. In più, ha avuto la capacità di far immergere la platea in quel clima. Quello della provinciale dittatura fascista italiana del Ventennio 1922-1942. Comprese le bassezze più superficiali e meschine del peggior fascismo, della peggiore dittatura: la miseria umana in tutta la sua tenebrosa oscurità.
Ma non solo. È riuscito, forse senza intenzioni, a far ripercorrere cosa era l’Europa a quell’epoca: un luogo dove le dittature erano al potere, o stavano accedendo al potere, in quasi tutti i Paesi.
Siano esse dittature comuniste (come in URSS e nei Paesi allora occupati dai russi di Stalin, ad esempio in Georgia o Ucraina), siano esse fasciste come nel Mediterraneo (Italia, Spagna) o nei Balcani (Albania, Romania), oppure nell’Europa centro-orientale (Polonia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Estonia), siano esse naziste, come in Germania. E che avrebbero, tutte assieme, portato a dolore, morte, distruzione. A cinquanta milioni di morti, oltre che a sfiorare l’estinzione dell’umanità.
La dittatura distrusse le università. E, in Italia, dove già allora l’università era farcita di professori che pensavano alla carriera più che alla dignità, il gioco fu persino più facile del previsto: solo 12 professori si rifiutarono di giurare e furono, ovviamente, privati della cattedra e marginalizzati con la galera o altro. Persino i “socialisti” e i grandi liberali giurarono. Persino Benedetto Croce giurò. Non giurò, pagando di persona, il prof. Mario Carrara, la cui vicenda è presa a esempio in Il giuramento. Non giurarono altri 11 professori, ricordati alla fine della rappresentazione, alcuni dei quali ebrei.
Ciò che rende Il giuramento una pièce fondamentale, nonostante le piccole pecche riportate sopra, non è solo questo. Ciò che la rende straordinaria è che non evoca solo il passato di un paio di generazioni fa. E che non evoca solo il futuro. Evoca, spaventosamente, il presente. Ciò che allora era chiamato “fascismo” oggi ha cambiato il nome in “sovranismo”, sia esso di “estrema destra” o di “estrema sinistra”.
L’Italia di oggi, nonostante i mostruosi insegnamenti del passato e della storia, è sostanzialmente fascista. Peggio, è essenzialmente affascinata dalla dittatura in quanto tale, quale ne sia il colore e la forma.
Ne esistono tutte le peggiori caratteristiche: giornalisti pronti a saltare sul carro dei vincitori che governeranno con la dittatura persino nelle coscienze e nel giuramento “di lista” o di “movimento”; così come professori pronti a giurare, e anche studenti, industriali, professionisti, disoccupati, casalinghe, medici… Tutti. O quasi tutti. I veri antifascisti, o meglio gli anti-dittatura, in Italia, oggi, si contano forse in poche decine di migliaia. Forse, poche decine in ogni luogo di lavoro. Comprese, ahimè, le università.
C’è, infatti, oggi, una celebrazione, nemmeno velata, delle dittature nel mondo: da quelle più chiaramente nazifasciste come Assad in Siria o Putin in Russia, a quelle travestite da comunismo, come Kim in Corea o Maduro in Venezuela. Si arriva persino a “rimpiangere” la dittatura nazista di un Gheddafi o di un Saddam. C’è un razzismo galoppante accoppiato all’incapacità di comprendere che l’anti-razzismo non ha nulla da guadagnare dalle dittature, anche quando sono “del popolo”. Anzi.
Nell’Italia di oggi, c’è persino l’illusione che la cultura possa affermarsi ignorando, assecondando e addirittura sostenendo dittature e giuramenti al guru o al capopopolo di turno, sia esso locale, regionale, nazionale o internazionale.
C’è anche l’olio di ricino. Quello mediatico e “social”, per adesso. Se ti azzardi a scrivere le cose che ho appena scritto, immediatamente si muovono eserciti di troll a denigrare, insultare, minacciare. Se per sbaglio dici che i Putin, i Gheddafi e gli Assad sono dittatori nazisti che massacrarono, massacrano e torturano, si levano gli scudi di chi ha già giurato o sarebbe contenuto di farlo.
C’è anche il giuramento. Che sia a stelle o a leghe, oppure a fascio e croci uncinate, oppure a falce, martello o scopa. C’è, insomma, già oggi, l’imperium della dittatura purchessia.
Che si traduce già in violenza diffusa, più o meno nascosta dietro le più speciose motivazioni personali, ma in realtà figlia delle parole fatte pietre.
Il giuramento, scritto da Fava, e con un pubblico non molto numeroso alla prima del Teatro Biondo di venerdì sera, difficilmente sarà compreso in questa dimensione. Il che è una prova ulteriore che, di fatto, l’Italia è già entrata nell’Anno I della Seconda Era Fascista o, per essere più precisi, nell’Anno I della Seconda Era Nazicomunista.
Le nefaste conseguenze saranno, come due generazioni fa, tanto a lungo termine quanto catastrofiche. A meno che non si ponga rimedio fin da subito.
Il giuramento, dal 19 al 28 gennaio 2018 al Teatro Biondo di Palermo, di Claudio Fava, regia Ninni Bruschetta, musiche originali Cettina Donato
con David Coco, Stefania Ugomari Di Blas, Antonio Alveario, Simone Luglio, Pietro Casano, Federico Fiorenza, Luca Iacono, Liborio Natali, Alessandro Romano
Produzione Teatro Stabile di Catania
Penso che la democrazia, invecchiando, soffra di degenerazioni che le provocano tendenze suicide; e la dittatura è l’arma con cui spesso riesce ad ammazzarsi.