di Davide Mannelli
Il prossimo 9 dicembre saranno trascorsi esattamente 25 anni dalla scomparsa di Franco Franchi, probabilmente il comico più amato dai siciliani.
Negli ultimi anni Palermo ha reso giustamente omaggio ai suoi “figli prediletti”, intitolando piazze, vie, erigendo statue e monumenti. Purtroppo non si può dire lo stesso per il resto del paese, che sembra avere archiviato troppo frettolosamente, nella propria memoria critica, la meravigliosa avventura dello storico duo.
Spesso, quando si parla di Franchi, scattano immediati parallelismi con altri geni della risata: quello che Totò è stato per Napoli, sostengono ormai in molti, Franco è stato per Palermo. Ma se il “Principe della risata” ha incontrato una piena riabilitazione da parte della critica con il passare degli anni, questo riconoscimento postumo appare ancora negato, e assai lontano dal concretizzarsi, per Franco (e di conseguenza per il suo storico sodale Ciccio).
Tutto era cominciato dalla strada, per Francesco Benenato, nato a Palermo il 18 settembre del 1928 nel quartiere Monte di Pietà. Un’infanzia talmente povera che lo spedisce subito a lavorare, a dare una mano in famiglia, ma la passione per l’arte e per il teatro hanno presto il sopravvento su tutto il resto.
Era la cosiddetta “posteggia”, la specializzazione dell’artista: suonava la grancassa ed altri strumenti musicali nel ventre della città povera, di fronte ad un pubblico sbalordito per la sua esuberanza, e soprattutto si esibiva nelle imitazioni, quelle di Mussolini, di Hitler, dello stesso Totò.
La svolta arriva nei primi anni Cinquanta, quando un giovane Ingrassia (all’epoca già attore di teatro e componente del Trio Sgambetta) rimane folgorato da quel talento selvaggio e incontenibile. Propone al collega “di strada” di formare un duo: è l’inizio dell’avventura per la coppia, destinata a prolungarsi per un quarantennio.
Provvidenziale, per le loro fortune, sarà l’intervento di Domenico Modugno, che li vuole con sé a tutti i costi nel film Appuntamento a Ischia e, successivamente, nella commedia teatrale Rinaldo in campo, campione d’incassi della stagione 1961-62.
E’ il successo nazionale per Franco e Ciccio, che si lasciano sedurre subito dal cinema e rescindono il contratto che li lega anche a Modugno (un gesto che provocherà dissapori per diversi anni con l’interprete di Volare).
Quasi impossibile tenere il conto del numero di film che, dall’inizio degli anni Sessanta, la coppia comincia a macinare. Franco & Ciccio diventano una vera e propria miniera d’oro per i produttori italiani: Sedotti e bidonati, I due evasi di Sing-Sing, Per un pugno nell’occhio, I due mafiosi, sono una parte infinitesimale dei titoli che vede impegnati i due davanti alla macchina da presa, raggiungendo la cifra record di pellicole realizzate, ben 18, nell’arco di un solo anno, il 1964.
Se ai botteghini Franco & Ciccio dettano legge, la critica li stronca senza pietà. A nulla vale neanche l’incontro con Buster Keaton, che porterà alla produzione del film Due marines e un generale: per gli intellettuali la coppia siciliana è sinonimo di volgarità e basso avanspettacolo, e i loro film vengono liquidati nel giro di poche righe.
Un caso unico, all’interno di questa battaglia a distanza con la critica cinematografica, è costituito dal lungometraggio Don Chisciotte e Sancio Panza, per la regia di Giovanni Grimaldi: le recensioni dell’epoca lodano soprattutto la bravura di Ingrassia, alla prima vera prova “seria” della sua carriera.
Parallelamente, anche autori come Pasolini, De Sica e Comencini li coinvolgono nei loro progetti, seppur nell’ambito di piccole parti.
Con l’inizio degli anni Settanta cominciano i primi malumori all’interno della coppia. Ciccio non ne può più di quei ritmi forsennati e pretende più qualità e attenzione nella scelta delle proposte di lavoro, mentre Franco è dell’avviso opposto, forse memore dei periodi degli stenti e della fame.
Le strade cominciano a separarsi. Ingrassia accoglie con entusiamo gli inviti di Florestano Vancini (Violenza quinto potere, 1972) e soprattutto di Federico Fellini, che gli cuce addosso il personaggio di Teo, lo zio matto di Amarcord (1973) dal celebre urlo “Voglio una donna!”
Da par suo, Franco scopre una frenetica voglia di cantare. Incide un Lp e partecipa al Festival di Napoli. “Dentro di me c’è un folletto drammatico – amava ripetere– La gente vorrebbe vedermi sempre allegro e sorridente, ma non si può essere sempre così. E’ per questo che ho bisogno di scrivere canzoni”. E alcune di queste, in effetti, sono delle autentiche perle di bellezza e malinconia, come l’intensa Vulannu (“…in cielu mi perdu, lu mondu mi scordu”…)
Da lì in poi seguono continue liti e riappacificazioni, alcune delle quali avvengono in diretta televisiva.
Terminata la stagione del cinema, per Franco & Ciccio comincia quella della televisione, prima in Rai e poi nella neonata tv commerciale di Silvio Berlusconi (da sempre ammiratore della coppia): anche qui la lista di programmi è lunga, come Drim, Patatrac, Beauty Center Show, Grand Hotel.
Sempre negli anni Ottanta vengono chiamati da altri nomi illustri, come i fratelli Taviani, che affidano loro un episodio di Kaos (1984).
Ma gli ultimi anni, per Franco Franchi, sono segnati da un’amarezza infinita.
Nel 1989 il giudice Giovanni Falcone gli invia un avviso di garanzia, nell’ambito del maxiprocesso quater, per associazione mafiosa. L’inchiesta, che si concluderà con un nulla di fatto, nasceva dalle frequentazioni del comico con alcune delle storiche famiglie mafiose (in particolar modo con i Greco di Ciaculli). Frequentazioni che erano, però, soltanto frutto della popolarità sconfinata di Franchi e della sua partecipazione a numerosissime feste e cerimonie in veste di ospite d’onore.
“Ero un eroe dei bambini, adesso sono un mostro da sbattere in prima pagina”- diceva il comico ai giornali, in quegli anni bui e tormentati.
Come testimoniato dai familiari in più occasioni, la sua reazione è quella di chiudersi in casa, isolarsi e, soprattutto, cominciare a bere. In poco tempo la cirrosi epatica divora l’artista palermitano, che muore il 9 dicembre 1992 a Roma, dopo la registrazione dell’ultimo show televisivo, Avanspettacolo, a fianco dell’amico Ciccio Ingrassia.
Il giorno dei funerali una città intera, la sua Palermo, saluta Franco Franchi nella chiesa di Casa Professa. “Ho perso un fratello” – dirà un commosso Ciccio, che da lì in avanti rifiuterà tantissime proposte di lavoro per rifugiarsi, anche lui, in un triste esilio volontario (scomparirà nell’aprile del 2003).
Adesso sono passati venticinque anni dalla scomparsa di Franco Franchi, e sicuramente la sua terra continuerà a ricordarlo. C’è da sperare che un giorno anche il resto del paese, dell’intellighenzia, della critica ufficiale, gli renda il giusto omaggio e che riscopra, finalmente, questo grande artista e questa grande coppia, rappresentanti di una fetta importante, e non secondaria, dello storia dello spettacolo italiano.