di Pasquale Hamel e Gabriele Bonafede
Quando e perché la mafia incontra gli Alleati in Sicilia? E’ una domanda che spesso si fa e che trova risposte superficiali anche da parte di specialisti. Innanzitutto, la leggenda del contributo “decisivo” della mafia allo sbarco degli Alleati in Sicilia nel ‘43: chi sostiene una cosa simile nella migliore delle ipotesi appare ridicolo.
Le forze alleate erano semplicemente schiaccianti, non solo nel rapporto numerico (quasi il doppio come personale logistico e combattente) ma soprattutto negli armamenti, nella tecnologia, nelle riserve di munizioni, nei mezzi, e persino nell’equipaggiamento personale dei singoli soldati.
I quattro quinti dei 280.000 soldati dell’Asse (nome ormai dimenticato dell’alleanza italo-tedesca) erano italiani, con solo un paio di divisioni italiane efficienti. Non parliamo dell’impressionante superiorità degli Alleati nei cieli e sul mare e delle ridicole difese e fortificazioni terrestri dell’Asse che si affidò persino a carri armati di cartone per far credere di avere qualcosa da opporre.
Gli alleati disponevano di circa 600 carri armati di ultima generazione per quei tempi, ai quali gli italo-tedeschi ne opponevano solamente 260.
Ma di questi solo 60 erano tedeschi ed efficaci, essendo gli altri 200 italiani. E utili solo alla propaganda di regime o poco più, spesso armati solamente di mitragliatrici e cannoncini inefficaci: famigerato il Fiat 3000 in dotazione alla divisione Livorno, che pure era una delle migliori unità schierate in Sicilia. In questo quadro non era certo della mafia che avessero bisogno gli Alleati per decidere le sorti della battaglia sul campo, anche se tutto sarebbe stato utile, in linea di massima, per assicurare la veloce penetrazione nell’isola e limitare il numero delle perdite.
Ma torniamo al vero nodo del rapporto tra gli Alleati e al mafia. La mafia incontra gli Alleati, e segnatamente gli americani, nel momento in cui essi mettono saldamente piede in Sicilia nell’estate del 1943. Ma è un incontro che possiamo definire non voluto, e determinato dal radicamento del fenomeno criminale nella classe dirigente siciliana.
Gli americani, dopo la conquista dell’isola, avevano un solo interesse: quello di garantirsi un retroterra tranquillo per evitare che situazioni specifiche li distogliessero dall’obiettivo principale che, come è noto, era quello di vincere la guerra e sconfiggere il fascismo che l’aveva voluta. Molti, ancora oggi, non sanno o dimenticano che fu Mussolini a dichiarare guerra agli USA nel dicembre del 1941, e non viceversa.
Nel momento in cui gli Alleati si trovarono a governare l’isola cercarono dunque riferimenti forti e capaci di garantire l’obiettivo che si erano posti: retrovie senza problemi per continuare e vincere la guerra contro il nazifascismo in Europa.
I riferimenti forti, in Sicilia, erano allora la Chiesa e quella porzione di ceto dominante, spesso di vocazione massonica che, nonostante gli scossoni e gli errori fatti nel passato, continuava ad essere autorevole. E che molto spesso aveva intrecciato la propria storia col potere mafioso. Furono, dunque, questi i referenti del governo alleato.
Furono essi che diedero, ad esempio, indicazioni precise in merito alla nomina di alcuni sindaci quali Lucio Tasca a Palermo o Calogero Vizzini a Villalba. La scelta di Calogero Vizzini o di Giuseppe Genco Russo a Mussomeli fu fatta su segnalazione degli ambienti ecclesiastici nisseni e non perché i due chiacchierati personaggi fossero esponenti della “onorata società”, ma perché erano legati alla chiesa locale. L’uno era stato, infatti, un animatore del movimento cattolico e si era distinto nella lotta per le terre e, inoltre, poteva vantare parentele ecclesiastiche. E l’altro perché presidente della confraternita più importante del suo paese.
Che poi questi fossero esponenti della mafia fu un fatto casuale e non la ragione della nomina. Gli Alleati, inoltre, utilizzarono molti italo-americani come interpreti che risultarono in seguito essere personaggi legati al mondo del crimine.
L’essersi affidati a questi personaggi e l’avere dato loro responsabilità rilevanti, ebbe dunque effetti che si sarebbero rivelati devastanti per il futuro dell’isola. Anche l’atteggiamento nei confronti del separatismo, chiaramente ambiguo, fu dettato da ragioni di sicurezza interna.
Poletti e i responsabili dell’AMGOT, il governo militare alleato della Sicilia, pur avendo chiaro l’impegno di garantire l’unità italiana, decisero di non contrastare il movimento per evitare di infilarsi dentro una vicenda che consideravano, nella loro prospettiva, non rilevante. Tanto è vero questo che, nel momento in cui si realizzarono le condizioni, non ebbero remore a mollare il movimento e i suoi esponenti.
Foto nell’articolo tratte da Wikipedia.
In copertina:
By Parnall, C H (Lt), Royal Navy official photographer – http://media.iwm.org.uk/iwm/mediaLib//30/media-30134/large.jpgThis is photograph A 17916 from the collections of the Imperial War Museums., Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=25272435
Nel testo:
By Unknown member of the British Army. – http://www.marinaiditalia.com/public/uploads/2010_03_06.pdf, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=46434772
By Chetwyn L (Lt), War Office official photographer – http://media.iwm.org.uk/iwm/mediaLib//32/media-32120/large.jpgThis is photograph TR 1244 from the collections of the Imperial War Museums., Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=24397101
Mi permetto sul tema una breve citazione del rapporto di un intelligente funzionario britannico, mr. Swan,rapporto redatto il 23 ottobre 1944 (in G.C.Marino, Storia del separatismo siciliano, Editori Riuniti, Roma 1979, pp. 40-41.
I grandi latifondisti, che naturalmente formano una specie di «aristocrazia feudale» di antico lignaggio, in ogni parte dell’isola sono i principali, se non i soli, iniziatori del progetto di Libera Sicilia. Diffidenti del presente governo italiano, timorosi di esorbitanti tassazioni, considerando con profondo allarme la loro probabile e inevitabile parte nell’onere italiano delle indennità e delle riparazioni, essi hanno escogitato la soluzione di ritornare al vecchio stato indipendente di Sicilia, nella speranza che una Sicilia indipendente possa non soltanto sbrigarsela da sola – ma anche, come tale, sfuggire alle più serie conseguenze della partecipazione della Sicilia alla guerra combattuta dall’Italia contro le Nazioni Unite […]. È una impressione che gli stessi proprietari terrieri, che per i loro interessi non avevano esitato in passato a entrare in stretta e proficua società con la scellerata mafia, stiano incoraggiando oggi la recrudescenza di quella organizzazione terroristica e quasi segreta con la quale aspirano a controllare, o almeno a volgere a loro vantaggio, entro i confini dell’isola, l’eventuale e naturale reazione comunista contro il governo centrale.