di Gabriele Bonafede
Con la morte dell’ergastolano Salvatore Riina si è assistito negli ultimi giorni a una gara a chi mettesse più in risalto le presunte “doti” di uno dei più efferati criminali mafiosi del XX secolo. Assicurato dallo Stato alle patrie galere e lì tenuto fino alla morte naturale avvenuta qualche giorno fa.
Il deprecabile utilizzo di epiteti quasi rispettosi e comunque apologetici quali “boss”, o “capo dei capi”, “genio del male” è stato rilanciato con pochissima attenzione. Non si capisce, ancora oggi, il favore che si fa alle criminalità organizzate con questo modo di chiamare indegni criminali che hanno ucciso e continuano a uccidere barbaramente.
Personaggi che hanno ucciso, oltre ai loro nemici della stessa risma, funzionari inermi, magistrati, sindacalisti, giornalisti, assertori della legalità, comuni cittadini o chiunque si sia frapposto legalmente e pacificamente alle loro smisurate e criminali ambizioni. Tutte persone non armate o armate per sola difesa come le forze dell’ordine.
Il film Il Padrino, per quanto sia un grande film dal punto di vista puramente artistico, era ed è molto apprezzato dai mafiosi. Ma ha fornito, purtroppo, un cattivo servizio alla crescita sociale e alla lotta alla mafia, dipingendo un criminale mafioso come un “eroe”, più che anti-eroe.
Con le dovute proporzioni, il telefilm “Il capo de capi” ha fatto di peggio. Pessimo anche dal punto di vista puramente artistico, le sue scene finali sono quasi da apologia della mafia. Ritraggono il criminale Salvatore Riina, detto “u curtu”, o “la Belva”, dipingendolo quasi come la “vittima” nel momento in cui viene giustamente catturato dalle forze dell’ordine. O, per lo meno, facendo un autogol dei più clamorosi. Anche questo telefilm sembra sia particolarmente apprezzato in certi ambientini criminali.
Quelle scene finali, con una musica triste e quasi compassionevole, sono una vera vergogna della TV italiana. Una vergogna sparsa a tutte le latitudini nelle quali è stata pubblicizzata, vista e rivista. Fino a renderlo una specie di “cult” dell’orrido, assorbito dalle persone comuni quale reale fatto, anziché spaventosa (e pietosa) modalità per raccogliere visioni, notorietà, pubblicità, soldi.
Ma fosse finito tutto qui, sarebbe ancora accettabile. Invece, l’epiteto “Capo dei capi” è diventato ormai di uso comune. Troppo comune. Elevando al rango di qualcosa di “accettabile” e persino di deferenza sociale una tale bestia insulsa e feroce. Uno che ha torturato, incaprettato e sciolto nell’acido, terrorizzato e massacrato a più non posso. Senza il benché minimo pentimento. E poi ci si stupisce delle frasi di condoglianze sui social… Era il minimo che potesse accadere dopo questi plateali epiteti di sottintesa stima.
Ma ciò che fa ancora più specie è come uno famoso scrittore italiano, che giustamente lotta contro le criminalità organizzate pagando di persona con una vita sotto scorta e in costante pericolo, abbia potuto paragonare quella belva ignorante di Riina a grandi personaggi della cultura latina ed europea.
In un incredibile articolo pubblicato su Repubblica, Roberto Saviano paragona questo criminale, Riina, nientepopodimeno che a Karl von Clausewitz e Vegezio. I quali si staranno rivoltando nella tomba, insieme a Falcone, Borsellino e tutte le altre vittime della mafia.
Von Clausewitz, uno dei più acculturati e massimo storico prussiano morto da militare sul campo a causa di un’epidemia di colera, è stato paragonato a un ignorantone sanguinario che trucidava con vigliaccheria persone disarmate. Publio Vegezio Renato, grande funzionario e storico dell’impero romano, probabilmente cristiano e di gigantesca cultura, è stato paragonato a un rozzo carrettiere che aveva studiato a malapena fino alla quinta elementare nelle discreditate scuole italiane di oggi e di ieri. Francamente, si tratta di una sciocchezza della quale si poteva facilmente fare a meno.
In molti punti di questo articolo, l’analisi di Saviano è costruttiva e approfondita, come sa fare. Ma non ci si può abbandonare all’accostamento di grandi uomini nella storia della civiltà a un simile psicopatico aberrante e ignorante. Aggiungendo poi frasi come queste: “La storia di Riina non è la storia di un pazzo, dunque, non è la storia di un mero criminale sanguinario, è la storia di un genio del male che scegliendo la strada dell’intransigenza, del rigido moralismo, …”
E qui è meglio fermarsi, non andare oltre, e riflettere. Genio del male? Non è la storia di un pazzo? Rigido moralismo? Quale moralismo? È moralismo il massacrare persone inermi? Nella vita di Riina non si evince nessuna genialità e nessun moralismo, tantomeno “rigido”. Semmai si evince una deriva verso bassezze infernali prive di qualsiasi aggettivo se non la vigliaccheria a fronte di coraggiosi eroi della legalità.
No. Non si può ancora oggi sdoganare l’uso della violenza e dell’ignoranza in questo modo. Si deve fare un passo avanti. Non chiamare più questi tristi personaggi con la deferenza insita in parole come boss o capo. Non affidare parole come genio e moralismo a queste bassezze.
Questi individui, per cominciare a fare una lotta alla mafia efficace, vanno chiamati con nome e cognome. Eventualmente seguiti da un aggettivo più consone come: criminale, efferato, bestiale, stragista, pavido, vergognoso, vigliacco e assassino.
Utilizziamo la lingua italiana correttamente. Facendo realmente solo lotta alla mafia e non protagonismo mediatico.
“È così che Rina ha portato a Cosa nostra un monopolio dell’immaginario del potere…” scrive ancora Saviano. Purtroppo, a portarlo a “un monopolio dell’’immaginario del potere” lo hanno aiutato anche i media, il cinema, la tv. E lo hanno portato questi appellativi di insita deferenza, come boss o capo dei capi. Sarebbe il caso di cambiare rotta. Drasticamente.
Saviano è un’icona della lotta alla mafia. I suoi contributi sono sempre grandi. Ma ripensare le strategie di comunicazione non sarebbe male. Anzi. A cominciare dall’esimersi nell’accostare certi criminali a parole come boss o capo dei capi. Meno che mai a Von Clausewitz e Vegezio.
Immagine di Clausewitz nel testo tratta da Wikipedia. Di Karl Wilhelm Wach – sconosciuto, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=695673