di Daniele Billitteri
Grande cosa questa di portare l’arte al cinema. Non che il cinema non sia arte di per sé, ma qui si scrive di arte non cinematografica portata al cinematografo. E dopo Van Gogh tocca ad un altro olandese, Hieronymus Bosch, e al suo dipinto più importante, il Giardino delle Delizie realizzato alla fine del 1400 e conservato al Prado di Madrid. Il film è stato realizzato da José Luis Lopez-Linares che ha riunito davanti al quadro storici dell’arte, storici, filosofi, scienziati, musicisti, cantanti, pittori, direttori di musei. Tutti a cercare, senza riuscirci, di risolvere il “mistero” del Giardino.
Mistero a cominciare da Bosch del quale si sa pochissimo se non che fu un’artista di terza generazione. Pittori erano stati anche il padre e il nonno. Perfino la sua esistenza venne messa in discussione e Bosch è sicuramente uno pseudonimo. Quel che si sa di lui con certezza è che fu membro di rilievo dell’importante Confraternita della Diletta Signora dedita al culto della Vergine. Si sa anche che fece un buon matrimonio che lo trasformò in un notabile alto borghese.
Il Giardino delle Delizie è un trittico con le ali ruotanti. Nel senso che si chiude come una finestra. Aperto è alto due metri e venti e largo quasi quattro metri. Viene considerata l’opera più importante di Bosh dipinta tra il 1480 e il 1490 (così emerge dalla datazione del legno del pannello).
In essa Bosch rovescia sulla Storia dell’Arte tutta la sua potenza visionaria navigando oceani semantici tempestosi tra allegorie, simbolismo, misticismo, ironia. Il risultato è quello di un’opera diventata il paradigma della polisemia che si dice di parole (in questo caso di opere) dai molteplici significati. Per questo il Giardino si è quasi liberato dal vincolo della datazione poiché sfugge a inequivocabili collocazioni temporali per stile, significato, tasso di invecchiamento tematico, aderenza a teologie e ideologie. Il tema del giardino richiama l’Eden.
Nel pannello di sinistra c’è Dio Creatore, ci sono Adamo ed Eva. In quello di destra c’è l’Inferno, il Diavolo, la sofferenza dei dannati. Ma nel pannello centrale, il Giardino, c’è l’Umanità nuda insieme con frutti giganti e animali fantastici. Ma la prorompente molteplicità dei significati è pure nei comportamenti.
Apparentemente il giardino è la sede della Felicità: la nudità, il sesso sereno e ironico (una coppia lo fa dentro il guscio di una cozza gigante), abbondante simbolismo sessuale, unicorni, pesci fallici. Ma nel complesso c’è forse una riflessione più malinconica di vizi fatti tali dagli uomini perché, dopo tutto, la vita non è un vizio e all’uomo non tocca il vizio della vita. Basta non mangiare la mela…E se dal dipinto togliete tutti gli esseri umani, resta il paesaggio, gli animali, le montagne, i laghi. Le Delizie, appunto.
A quel tempo c’era chi teorizzava che due libri bastano al mondo: uno quello delle Sacre Scritture, l’altro quello della Natura, dove le parole sono le creature che la fanno percepibile. Il Giardino, se vogliamo, aderisce abbastanza a questo punto di vista. Al punto che davanti al quadro finiamo con lo specchiarci e veniamo spinti a cercare dentro di noi tutti i paradisi quelli desiderati, quelli perduti.
E tutti gli inferni, quelli vissuti e quelli temuti. Lì davanti scopriamo che la potenza visionaria del dipinto fa sorgere l’esigenza di creare parole nuove per raccontarlo. La magia dell’artista che racconta il Creatore con un picco di Creatività che si fa trappola per catturarci e portarci dentro il suo mistero. Non per sfidarci a risolverlo, ma per indurci ad appartenervi. Dieci euro spesi benissimo.