di Gabriele Bonafede
Puigdemont appare nella sessione plenaria del Parlamento della Catalogna come sempre: con l’occhio smorto e l’incedere impalpabile, mellifluo e isolato, dichiarando bugie a tutto spiano. Solo i membri irresponsabili del suo governo regionale lo applaudono. Sono molti dentro il Parlamento catalano che sta per essere tradito da lui stesso. Ma sono pochissimi fuori sulla strada e ancora meno in tutto il mondo.
L’unico alleato che ha Puigdemont è Putin con tutta la sua macchina di bufale e troll che impera nel net mondiale e viene raccolta e rilanciata persino da media che una volta erano per la democrazia. Soprattutto in Italia dove, ad esempio, La Repubblica racconta una storia completamente diversa della realtà, riportando solo parte delle parole del viscido “presidente” catalano, e tacendo o minimizzando sugli interventi dell’opposizione catalana alla follia dell’“indipendenza”.
Intanto, decine di imprese lasciano Barcellona. A partire da quelle quotate in borsa: sono ormai sei su sette le grandi imprese quotate nella borsa di Madrid ad aver lasciato la Catalogna prima ancora che Puigdemont dicesse le sue follie in veste istituzionale. Ma ce ne sono a decine, tra quelle non quotate, che si sono premurate di spostare la propria sede sociale fuori dal territorio della Catalogna, chi a Madrid, chi a Valencia, chi altrove.
Puigdemont vorrebbe che si avveri un incubo. Quello di una indipendenza che divide e avvelena la società della Catalogna. Considera come valido un referendum illegale che per giunta raccoglie una minoranza di fronte alla stragrande maggioranza dei catalani.
Di fronte all’opposizione di spagnoli ed europei di tutte le nazioni, Puigdemont dichiara il suo colpo di stato e poi “lo congela” per attuare un dialogo che però dichiara anche di non volere. Questa è la realtà, questo è l’incubo nel quale sprofonda Barcellona, la Spagna e oltre.
Un incubo che Puigdemont vorrebbe portare ancora più avanti e tiene sospeso su tutta la Catalogna, la Spagna e l’Europa quale minaccia. Ma la cosa più grave nel discorso di Puigdemont è il disprezzo e il vilipendio della democrazia catalana, come hanno fatto giustamente notare gli interventi delle opposizioni al suo governo regionale.
Un disprezzo per la democrazia che il mellifluo presidente catalano palesa in vari aspetti. Innanzitutto nel disprezzo per le regole democratiche che sono stabilite nella costituzione spagnola e nelle sue Leggi e istituzioni. Il disprezzo per l’autonomia della Catalogna che è tale perché inserita in un quadro più ampio quali sono la Spagna e l’Europa. Un disprezzo ancora maggiore per la democrazia quando non tiene conto della maggioranza di catalani che non sono andati a votare nella sua farsa illegale e poi hanno manifestato in piazza.
Il presidente della regione catalana dichiara dunque l’indipendenza e poi si rifugia nel “congelarla”, cercando di sgusciare via come una viscida anguilla dalle sue stesse responsabilità. Addolcendo, in maniera melliflua, l’imbroglio nel quale ha cacciato la sua regione con un’attesa di “dialogo” solo tattico e privo di concretezza.
L’unica cosa sensata che potrebbe fare Puigdemont è invece dimettersi e accettare il commissariamento della Catalogna fino a prossime elezioni. Non lo farà e manterrà questa situazione di stallo che porterà ulteriori sciagure a tutti i catalani che si ritrovano oggi divisi, più poveri, più isolati.
L’Europa dei nazionalismi, grandi e piccoli, non può che portare a sciagure come la Brexit e l’indipendenza illegale della Catalogna. Che siano d’insegnamento per un’Europa più unita e senza frontiere, un’Europa che costruisca ponti e non muri, come ha detto l’opposizione catalana alla fantomatica e autolesionista indipendenza illegale di Puigdemont e i suoi degni compari abbacinati dal nazionalismo condominiale.
La Catalogna vera non è quella di Puigdemont. La Catalogna vera è, come detto dalla rappresentante dei Ciudadanos, quella che ha un cuore che contiene al suo interno la Catalogna, la Spagna e l’Europa. La Catalogna vera è quella di un futuro di pace e convivenza nella diversità delle culture locali in un quadro di pacifica coesistenza basata sul rispetto delle regole e della democrazia.