di Gabriele Bonafede
La Sicilia arriva alle elezioni del 2017 dopo decenni di deriva sociale, nuova emigrazione, disprezzo per le migliori risorse umane. Che se ne vanno per non tornare. Oltre 50mila sono gli studenti che ogni anno vanno a iscriversi in università fuori dalla Sicilia. Molti sono i giovani che partono per non tornare mai più. Molti sono i laureati o i più intraprendenti che devono lasciare l’Isola per tenare di affermare altrove idee e sviluppo, in tutti campi.
Sono le risorse migliori che vanno via. È un salasso che non è iniziato certo quest’anno ma che è ormai insito nella società siciliana. Una società che rifiuta e caccia via il meglio ormai da molto tempo.
E chi tenta di tornare non trova che muri di gomma in un mondo che si rivolge sempre più al più gattopardesco dei passati. La Sicilia continua ad essere una terra di frontiera potenzialmente ricca ma che perde ogni anno, ogni giorno, le migliori risorse. La classe dirigente attuale, nonostante proclami e parole, non fa nulla per invertire la tendenza. Anzi.
Sì, c’è qualche successo di facciata. Una capitale della cultura lì, un paesino eletto a tesoro dell’anno là. C’è un fermento culturale, ma solo di facciata. Perché chi vale è destinato a farsi valere altrove: a Roma e Milano o all’estero.
La Sicilia, in queste nuove elezioni, rischia di rimanere tale. E di costruire un altro viadotto verso il nulla. Rischia di essere sempre e comunque terra d’emigrazione e non solo d’immigrazione. Rischia d’essere sempre e comunque paradosso degli esperimenti politici e sociali proiettati verso l’ennesima delusione. Rischia d’essere una terra d’involuzione e regresso anziché d’evoluzione e progresso.
Paradossalmente, le speranze della Sicilia potrebbero essere riposte in un popolamento con nuove risorse materiali e umane provenienti da paesi e regioni ancora più disgraziate della nostra. Un rilancio potrebbe arrivare dagli immigrati. I quali, però, considerano anche loro la nostra Isola come punto di approdo e di passaggio per altri lidi con più prospettive: la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, il centro e il nord d’Europa.
E anche qui, la tendenza in Sicilia è quella di non accettare innovazioni che provengano dall’esterno. La tendenza è quella di andare dietro al rifiuto di nuove risorse, allontanandole sotto la bandiera del nuovo razzismo del XXI secolo.
Ma è altrettanto ovvio che le prime risorse su cui contare sono quelle rappresentate dalle migliori risorse umane delle generazioni siciliane. La classe dirigente siciliana deve capire che va accettato il cambiamento, vanno mantenute in Sicilia le risorse migliori e più giovani. Queste sono le risorse che vanno attratte al ritorno se sono andate via.
La Sicilia, oggi, rischia d’essere ancora più dissanguata. E a vedere liste e listini di queste elezioni si percepisce a pelle quale sia la mediocrità alla quale si è arrivati. Sì, c’è qualche eccellenza, c’è qualcuno che potrebbe ancora fare molto, persino politicamente, per recuperare e rilanciare la Sicilia in un contesto più grande. Ma il panorama generale è semplicemente sconfortante, da qualsiasi parte lo si guardi.
In aggiunta, dopo crisi economiche e morali di spaventosa profondità, la Sicilia rischia derive populiste che porterebbero solo ulteriori mali.
L’unica speranza è che i pochi che hanno capacità siano eletti a guidare l’Isola quale nuova classe dirigente. Di qualsiasi schieramento politico siano. Ma anche questi, pur se saranno sufficientemente numerosi, avranno un mandato molto complicato: far ripartire una crescita. Rifondare economia e società di una grande regione italiana, di un vero e proprio continente in trasformazione. Ciò significa lanciare una grande, epocale, inversione di tendenza.
Sono obiettivi chiaramente fuori dalla portata per una società che si chiude su se stessa, in quelle élite salottiere e parolaie condite di clientelismo e di tirare a campare per se stessi.
Eppure, basterebbe poco. Basterebbe che la società siciliana, che la classe dirigente, di qualsiasi schieramento politico, iniziasse a ragionare con uno spirito diverso.
Con lo spirito di raccogliere eccellenze, di accettare magari a piccoli passi cambiamenti che contribuiscano a far crescere anziché a far decrescere.
Per questo è necessario che cambi la mentalità dei siciliani, che si rinnovi con nuove generazioni che possono usufruire di movimenti e contatti maggiori con l’esterno. Ma che devono essere accettati da chi rimane.
Chi rimane, soprattutto le vecchie generazioni, deve avere il coraggio e la responsabilità di mettersi da parte e favorire il rinnovamento aprendo a nuove prospettive che costruiscano ponti e dialogo, qualità e lavoro, progresso ed evoluzione anziché muri e involuzione. Ma che siano ponti e dialogo che portino da qualche parte e non verso le nuvole nere del nulla.
In copertina, una strada non finita a Siculiana (AG). Foto di Gabriele Bonafede
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