di Daniele Billitteri
La maestra Consuelo Valenza, disse: “Sono come il dottore delle parole.” E il suo alunno disegnò un cerotto sulla “g” in più in una parola dove ne bastava una. Mi piace l’idea…
Una volta c’era una città che non so dirvi dov’è nel mondo. Ma fate la prova a fare girare il mappamondo e poi metteteci un dito per fermarlo. Lì dove avete messo il dito, ecco la città di cui voglio raccontarvi.
A guardarla era una città come tutte le altre: c’erano le strade, i semafori, i palazzi, le automobili, i cittadini che andavano e venivano, le scuole piene di ragazzi e di insegnanti, lo stadio di calcio, il palazzo del sindaco, la caserma dei carabinieri, gli ospedali. Anzi ospedali ce n’erano addirittura tre. Due erano emormi Il più grande si chiamava “Ospedale dei Grandi” (ma che fantasia…) per distinguerlo dall’Ospedale dei Bambini.
Il terzo invece era composto da tante villette dai prati e da tanti alberi, c’erano tre fontanelle con gli spruzzi, e tante panchine. Al cancello d’ingresso c’era una bella targa d’ottone con la scritta “Ospedale delle Parole”.
Mi dovete credere: ne ho viste di cose nella mia lunga vita ma un ospedale delle parole non lo avevo visto mai. E siccome sono curioso, decisi di andare a vedere come funzionava. Così bussai: din don!
La porta si aprì e mi trovai davanti a un bancone dove c’era un infermiera con la cuffietta davanti allo schermo di un computer. “Buongiorno, signore – mi disse – posso aiutarla?”. Sul momento non sapevo cosa rispondere ma alla fine pensai che dire la verità fosse la cosa migliore. “Ad essere sinceri – risposi – non ho mai visto ospedali del genere e non nego di essermi molto incuriosito”.
“Non è il primo, rispose l’infermiera. Mi scusi un attimo…”. Si chinò su un microfono e disse: “Una guida è attesa in accettazione”. Beh almeno in questo, l’ospedale delle parole somigliava a tutti gli altri ospedali.
Dopo pochi minuti arrivò un giovanotto con un camice immacolato che, sorridendo, mi diede la mano. “Buongiorno signore, benvenuto. Io sono una guida di prima classe. Mi chiamo Vocabolario”.
Non ci potevo credere: mai visto un vocabolario vestito da medico. “Vocabolario?” chiesi, “si chiama proprio così?”. “Certo, rispose, ma se preferisce la passo affidare ai miei colleghi. C’è Treccani, per esempio. Oppure Devoto-Oli. Zingarelli, purtroppo, è andato in pensione qualche settimana fa ma in compenso c’è una guida assunta da poco ma molto brava. Si chiama Wikipedia”. “Ma no, risposi, non si preoccupi. Lei andrà benissimo.”
La prima stanza in cui entrammo era quella del pronto soccorso. “Qui, spiegò Vocabolario, si fanno le prime diagnosi. Ci sono dottori delle parole specializzati in tutte le materie. C’è lo specialista di Grammatica, quello di Sintassi, l’esperto di Soggetti, quello di Predicati, quello di Complementi. Vede quella? E’ una TAC, Testi Analizzati Correttamente, e serve per avere le prime indicazioni. A ogni specializzazione corrisponde anche un reparto. Abbiamo l’edificio dell’Indicativo, quello del Congiuntivo, quello del Condizionale che è sempre pieno di articoli di giornale. Nel Dipartimento del Periodo abbiamo i reparti di Proposizioni Principali, quelli di Proposizioni Incidentali. Ma il nostro fiore all’occhiello è il servizio di Periodo Ipotetico con le sue Divisioni di P.I. della Realtà, dell’Irrealtà e della Possibilità. Di fronte a un Periodo Ipotetico, caro signore, bisogna stare molto attenti a non sbagliare. Se sbagliassimo spesso (tanto per fare un esempio) ciò non deporrebbe a favore della nostra immagine”.
“Nel nostro Dipartimento per la ricerca abbiamo una Divisione della quale andiamo particolarmente fieri ed è quello dove studiamo le Figure Retoriche. Negli scaffali abbiamo un grande assortimento di chiasmi, allegorie, anacoluti, ossimori, eufemismi, metonimie, pleonasmi. Un campo davvero affascinante”.
Mi venne dunque spiegato che le malattie delle parole sono tante. Ci sono quelle semplici. Per esempio scrivere perchè invece che perché. Oppure valiggia invece che valigia. In quel caso, dopo tutto, basta un cerotto sull’accento sbagliato o sulla consonante in più. Anche le malattie dei verbi certe volte non sono gravi. Come quando si usa un verbo intransitivo come transitivo. Che diamine, tutti diciamo “scendo il cane”! Ma ci sono anche le epidemie. Per esempio interi popoli, come il siciliano, non usano il futuro. E’ vero. Diciamo: “domani non vado in ufficio”.
“Ogni tanto – disse Vocabolario – arrivano casi piuttosto gravi. Come le malattie esantematiche della lingua che restano sulla punta della lingua come i congiuntivi all’italiana: venghi qui… Ma se si presenta qualcuno e porta un “se avrei”, prima di mandarlo al Reparto PPI, Patologie del Periodo Ipotetico, lo mettiamo per qualche settimana in Terapia Intensiva”.
Me ne andai con la testa piena di pensieri. E’ vero che l’italiano è una lingua viva ma è anche vero che il rischio di ammalarsi è alto. Allora bisogna vaccinarsi e, soprattutto, ci vuole un medico delle parole. Uno bravo, però.
In copertina, foto di Alexandra Kirr, Daunt Books, London, United Kingdom.
Geniale.