Uno sguardo al passato per non accettare il futuro… a proposito delle recenti notizie di cronaca riguardanti il baronaggio universitario
di Franco Maria Romano
Papà mio era medico e suo padre, mio nonno, che non ho conosciuto, era contadino e lavorava un fazzoletto di terra di sua proprietà.
Un chiaro esempio di mobilità sociale perché mio padre era andato a scuola, da seminarista, poi l’università, poi la laurea, mentre mio nonno si era fermato alla licenza elementare. Conquista ed acquisizione di un nuovo status sociale: per differenza di reddito, dei consumi, per il tipo di abitazione e per il genere di opzioni acquisite, per il vivere in città, per il prestigio raggiunto.
“Arrinisciu”, si dirà e, ricordando, affiorano i sacrifici che hanno fatto i genitori e i sacrifici che lui stesso ha fatto per “arrinesciri”. Certamente altri avvenimenti saranno intervenuti a favorire o rallentare questo processo: ambizione, fortuna, l’ansia delle interrogazioni a scuola, un altro esame superato, il servizio militare, la guerra, il rapporto gerarchico di chi stava su, il matrimonio, i figli. E poi, il rapporto con i colleghi, con i pazienti, gioie, preoccupazioni, colpi di fortuna ed occasioni mancate. Essere “riuscito” significa anche tutto ciò, ma ogni avvenimento, ogni tappa della sua vita viene ricondotta ai “sacrifici”.
Ora, senza stare qui a fare analisi sociologiche, cosa peraltro di cui non sarei capace, tutto si lega quando si pensa che mobilità sociale equivale ad istruzione scolastica in quanto l’istruzione resta il più importante canale di mobilità. Quello che non torna è il “sacrificio” dal momento di una scuola aperta a tutti, gratuita, e addirittura obbligatoria.
Grandi sacrifici, dolorosi, inenarrabili ma che riempiono di orgoglio se consideriamo il tipo di istruzione scolastica e la quota di analfabetismo esistente nei primi decenni del secolo scorso.
La scuola era scuola elitaria in cui la famiglia aveva un ruolo fondamentale nella formazione attribuendosi compiti più che integrativi a quelli dell’istruzione scolastica. Oggi l’ambiente familiare non svolge più tale funzione ma fornisce, in termini educativi, i nuovi strumenti di divulgazione mediatica; ma la mancanza di alfabetizzazione è ben lungi dall’essere un fenomeno in via di estinzione in Italia e soprattutto nel Mezzogiorno.
Ma è poi è vero che oggi basta l’istruzione a creare una mobilità sociale? Non è così.
Si assiste ad un netto peggioramento delle opportunità di riuscita sociale ed occupazionale dei giovani, e paradossalmente questo si aggrava con la crescita dei loro livelli di istruzione. Trovando spazio in posizioni professionali meno qualificate di quelle nelle quali, a parità di istruzione, erano collocati i loro genitori, parecchi di essi, vedendo disperdere improduttivamente il loro capitale umano, fuggono trasferendo queste competenze fuori dall’Italia. Un investimento senza ritorno per il territorio con la perdita di risorse ed una riduzione di opportunità per il nostro paese. Ed anche in questo caso, seppure in maniera diversa, compaiono i “sacrifici”: la perdita di un patrimonio di memoria e di sensazioni, lasciare la famiglia, i propri affetti, la propria terra, il mare, la luce…
Considerando che per l’Italia la spesa per studente sostenuta dalle istituzioni pubbliche durante gli anni necessari a completare il ciclo dell’istruzione, a partire dalla scuola primaria fino alla laurea, è pari complessivamente a 108.000 euro (stima Ocse), il mancato ritorno dell’investimento realizzato dal nostro Paese, con riferimento ai 5.000 laureati meridionali che nel 2013 hanno lasciato l’Italia, è pari a 540 milioni di euro in un anno. Con riferimento ai 26.000 laureati meridionali che oggi vivono nel Centro-Nord, l’impatto economico può essere valutato in poco più di 2,8 miliardi di euro, che in totale, fa 3,3 miliardi di euro. Qui la fonte
Il merito diventa un ostacolo e non un vantaggio ed i risultati sono evidenti: se la selezione segue criteri legati a condizionamenti, raccomandazioni e sistemi clientelari la mobilità sociale si blocca con conseguenze disastrose che compromettono gravemente le capacità professionali, culturali, tecnologiche, intellettuali della nostra classe dirigente e politica.
E’ ovvio che, per porre un argine al rischio di scomparsa dalla scena del nostro paese di ogni veicolo di ascesa sociale, bisogna pensare, ripristinare, ove siano mai esistite, procedure meritocratiche di selezione degli aspiranti alle varie posizioni occupazionali e un’organica serie di politiche pubbliche (educative, economiche, edilizie, di welfare) intese ad accrescere le loro possibilità di emanciparsi da un’eccessivamente lunga dipendenza materiale dalla famiglia d’origine.
Se questo non accadesse, si immiserirebbero ulteriormente le aspettative dei giovani rispetto al loro futuro e, con esse, si rafforzerebbero le tensioni che, per effetto della critica congiuntura economica corrente, già percorrono il tessuto sociale del paese.
In ultimo vorrei amaramente concludere con una citazione di Ennio Flaiano: “Ho una tale sfiducia nel futuro che faccio i miei progetti per il passato”.
Oxford nel testo, immagine tratta da Wikipedia. Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=532844
In copertina e nel testo, Università di Bologna in un momento particolare. Foto di Gabriele Bonafede (2015).
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