di Daniele Billitteri
“Buonasera signo’ Vito”
“Buonasera a lei signo’ Billi”
“Qua siamo…”
“C’è cosa? Non me la conta giusta…”
“No signo’ Vito, il fattore e che col teatrino ci su mali riscursi”
“Lei lo sa preciso che certo io so tutte cose, è giusto?”
“Certo signo’ Vito. Lei di Lassopra vede la qualsiasi. Ma io propria per questo ci volevo parlare”
“Sentiamo”
“Questa città è vero stramma…”
“E che lo sta scoprendo ora?”
“Figuriamoci signo’ Vito, dopo che ho fatto per quasi cinguant’anni u giornalista non c’è strammeria che mi può meravigliare. Solo che certe volte uno si dice: no, in questa occasione la Città si comporta in un altero modo. E invece?”
“E invece?
“E invece è sempre di una maniera. Sempre vera come una carta di un euro e cinquanta… Qua u fattu è sempre uno e u riscursu è sempre un altro”.
“Amici e guardati, se dobbiamo andare di proverbi…”
“Ah, se è per questo c’è pure a chiù scuru di menzanotte non può fare”.
“Signo’ Billi, la trovo pessimista e non è cosa sua”.
“No, no signo’ Vito. Come infatti io non sono pessimista. Sono solo deluso”.
“Me lo spieghi meglio”
“Quando ci capitò la cosa a lei, cioè per dirla meglio: quando ci capitò questa cosa a noi…, io propria nella terrazza di casa sua ca manco avevano passato due orate, mi misi a contare il passio. Nel taccuino della mia testa cominciavi a fare la lista di tutti quelli che vennero a piangere. Ora lo dico subito: io non voglio giudicare il dolore di nessuno e dare patenti attipo tu piangi onesto e tu piangi attipo coccodrilo. Nossignore. Ma, da buon palermitano, io per un pronto accomodo me li scrissi tutti e mi segnai pure tutti “noni non vi lasceremo soli”, “Non vi preoccupate di niente, ci siamo noi…”, “Questo teatro non deve chiudere”.
“E allora signo’ Billi? Tutta gente che ci vuole bene…”
“Uno, nessuno e centomila, se mi capisce che sento dire, visto che lei è persona col coccio di lettura e col sio’ Pirandello si chiama di tu. Io me li segnai. A futura memoria, come si dice. Ma le devo confessare che fuvi un poco malepensante…”
“L’ho capito. La nnoccenza non è più cosa sua”.
“Proprio no. Come infatti mi dissi che volevo vedere che era partito in un modo e aveva tenuto la strada e chi si aveva perduto…”
“E poi?”
“Poi feci la stessa cosa quando ci fu il funerale alla Pietà ed ero contento e commosso perché tutti dicevano: Ditirammu, Dio c’è l’ha dato e guai a chi ce lo tocca”. Ma, pure in quella occasione pigghiavi qualche appunto”.
“E come finì? Signo’ Billi, io lo so ma mi piace come lo cunta lei”.
“Grazie signo’ Vito. Come finì? Agneddu e sucu e finiu u vattio. Fu come quando a scuola suona la campana e tutti i picciotti nescinu e spiriscinu in un fiat. Nessuno vinni a tuppuliare per sapere come procede la situazione. Certo, se a tuppuliare ci andiamo noi, tutti dicono: “ora risolviamo, state tranquilli, il Ditirammu e in cima ai nostri pensieri”. Certe volte non passa manco il tempo che torniamo al teatro e se c’è qualcuno tranquillo sono quelli che ci dissero “state tranquilli”, non so se mi spreco. Ora io dico “noi” ma in realtà questa gran croce è sopra le spalle dei suoi figli che sono corna dure e più tempo passa più corna dure diventano. E in queste cose io certo non mi posso immischiare. Ma iddi lo sanno che io sono sempre assittato fuori che aspetto e per il resto sono sempre nelle vicinanze a dare una mano quando serve”
“Questo lo sappiamo signo’ Billi”
“No, signo’ Vito, lo dicevo solo per dire che io non mi voglio vantare per meriti che non ho e che so stare al mio posto. Sembra una cosa facile. Ma ho scoperto che invece è difficile”.
“E allora?”
“Allora ora si parla di chiudere la putia. Di dire: qua spiristivu tutti e noi chiudiamo. Il teatro lei lo sa, è da salvare. Non si può continuare a dire che è un posto magico, che è una perla della tradizione artistica palermitana e poi non fare niente per proteggerlo. Come dicono quelli della protezione civile, va messo in sicurezza ed essere trattato come tutti gli altri. Né più e né meno”.
“Ma lei su questa chiusura è d’accordo?”
“Signo’ Vito, ogni volta che io riferisco la parola teatro a me, penso al Ditirammu. Quindi questo vale per risposta. Lei, invece, come la vede?
“Signo’ Billi, deve sapere che Elisa e Giovanni mi vengono a trovare spesso sul pianerottolo, ai Rotoli. E mentre fanno un poco di pulizia delle foglie secche e del privulazzo, mi raccontano cose, ma siccome sanno che io già le so, in realtà vogliono sapere che cosa ne penso io.”
“E mi pare giusto”
“La città è come un grande fiume che attraversa stagioni, periodi, calme di vento e scruscio di tempesta. Ci sono cascate, rapide, gole, canyon, ci sono le fonti, ci sono le paludi, tante paludi, c’è la foce sul mare. Navigare in questo fiume è difficile e nessuno, e dico nessuno, può avere la certezza che come parte arriva. Qua solo chi non fa niente non sbaglia. Coccodrilli, iene, elefanti e lestofanti ce ne sono sempre quanti ne vuole lei. E’ sempre la solita gente che , se serbve, cambia la targa, ma poi sempre iddi sono. Ora io penso che uno non deve mancare mai agli appuntamenti. E per appuntamento io intendo che c’è un momento in cui una cosa uno non se la deve agghiuttere. E se ti dicono “stai calmo” tu devi chiedere: che mese, che giorno e che ora posso segnare per finire di essere calmo e incazzarmi? E uno la risposta la deve avere: quale che sia. In mancanza, uno deve dire: benissimo, allora ci levo mano. Ma si sappia di chi è la colpa. Si sappia che la faccioleria non vincerà ancora una volta. Si sappia che le parole “stiamo provvedendo” devono essere sostituite, a un certo punto, dalle parole “abbiamo provveduto”. Questo vale per il teatro ma pure per i laboratori della scuola di Elisa che sono un vivaio, un’incubatrice di talenti. Lo sanno tutti quante volte ci ho perso facendo le cose del teatro. L’ho fatto in nome e per amore di una città che poi, bello la verità, manco è la mia. L’ho fatto perché ho amato questa bomboniera che si è conquistata nome e prestigio nell’ambiente artistico. E senza mai buttare voci, senza sgomitare, senza lamentarsi, senza truccare la fila e passare sugli altri. Noi ci siamo fatti rispettare e, modestamente a parte, siamo conosciuti per correttezza ed eleganza. Ma fessi non siamo e se abbiamo dato questa impressione allora è buono che si capisca bene che è un’impressione sbagliata. A costo di chiudere davvero. Nessuno pensi che questo è un bluff. Il Ditirammu non può stimpuniare. Il suo destino è di brillare come il diamante che è. Oppure di chiudere”.
“Minchia…”
“Prego?”
“No, dicevo, una bella galoppata. Mi sembrava la Signora Palermo nelle sue invettive per il Triunfo”.
“Sì, come infatti sono sicuro che Santa Rosalia mi capisce alla perfezione”
“Santa Rosalia ci protegge…”
“Sicuro. Idda protegge a tutti. Ma una poco manco ci danno la soddispazione di dimostrarsi riconoscenti. Perché iddi sono cane che non conosce padrone”.
“A proposito di cani, Diego mio mi incarricò di salutarla con una super annacata di coda”.
“Belle cose… Loro sì che sanno essere grati. Anche solo per una carezza e un pezzettino di pane. Che è niente per tutto quello che loro danno a noi”.
“Vero è signo’ Vito. Che Dio ce la mandi buona”
“No, Dio si occupa di cose più importanti. Questo sono storie di scarafaggi. Ci abbasta un angelo di prima nomina. Al resto dobbiamo pensarci noi”.
(Ndr, questo è il Dialogo n. 14. “Se chiude il Ditirammu” pubblicato nel gruppo “Dialoghi col Signò Vito”, creato dallo scrittore e giornalista Daniele Billitteri all’indomani della prematura scomparsa di Vito Parrinello)